“Ora non sappiamo che dire alle donne che ci chiedono aiuto”

via giustiCIVITAVECCHIA – Rabbia, sconcerto, incredulità. Sono questi gli stati d’animo che prevalgono tra i volontari di Unicef, Avo e Telefono Rosa dopo lo sfratto dai locali di via Giusti. Una estromissione che, sebbene sia comprensibile la necessità del Comune di andare ad un piano di riorganizzazione e razionalizzazione dei propri spazi, lascia esterrefatti per le modalità e il cinismo con cui si è provveduto a mettere in mezzo a una strada tre associazioni di volontariato con anni di attività e storia alle spalle: nessuna comunicazione preventiva, nessuno spazio alternativo dove poter continuare il proprio lavoro, nessuna garanzia sull’assegnazione di nuovi spazi. Possibile davvero che una Amministrazione comunale possa comportarsi così? A quanto pare, stante anche il silenzio che rimbomba sulla questione da Palazzo del Pincio, evidentemente molto più interessato a porcini e ferlenghi, sembra sia proprio così. E riprova ne sono le nuove dichiarazioni che giungono oggi da Telefono Rosa e Unicef.
“L’Amministrazione comunale – aferma la Presidente del Telefono Rosa Elisa Aceto – durante tutta la nostra ventennale presenza sul territorio, ha sostenuto la Consulta delle donne-Telefono Rosa mettendo a disposizione i locali, l’allaccio alla linea telefonica e relativo pagamento delle bollette. Mentre tutti gli interventi che l’associazione ofre sono assolutamente gratuiti e le attività economicamente autogestite. Lo scorso anno il Comune ci trasferì in via Piccinato. In questa sede non potemmo operare perché mancante di linea telefonica e sottoposta a ripetute incursioni di giovani vandali i quali rendevano insicura l’incolumità nostra e delle nostre utenti. Naturalemte incontrammo più di una volta il Sindaco e il Dirigente al Patrimonio sia per informarli che per cercare altre soluzioni. L’esito dei colloqui è stato sia l’ingiunzione di sfratto da via Piccinato sia, a distanza di pochi giorni, da via Giusti”. Elisa Aceto ricorda brevemente gli importanti servizi erogati dal Telefono Rosa, tra cui accoglienza e ascolto delle donne (circa 200 l’anno) sottoposte a separazioni e violenze, consulenze legali e psicologiche, sostenùgno alle madri e ai loro figli, sinergia e segnalazioni con Servizi sociali e Forze dell’ordine, realizzazione di gruppi ai auto mutuo aiuto; e non nasconde tutto lo scoramento provocato da questa vicenda. “L’intimazione di sfratto ci ha gettato in uno stato di profondo sconforto perché ci mette nella condizione di non saper cosa dire a quelle donne che in questi giorni aspettano da noi risposte e proposte che le aiutino ad uscire dalla disperazione. Perciò vogliamo provare a parlare con il Sindaco nella speranza di poter trovare in lui un interlocutore attento alle problematiche esposte e una soluzione adeguata alle esigenze delle donne cittadine di Civitavecchia”.
Dal canto suo la referente locale dell’Unicef Pina Tarantino ci tiene a sottolineare alcune inesattezze riferite ieri dalla nota stampa diramata dall’Ufficio patrimonio. “Il Comune di Civitavecchia – afferma – paga soltanto la bolletta della luce, L’utenza telefonica è pagata regolarmente dall’Unicef Italia. La fotocopiatrice, il fax, il computer, alcuni mobili sono di proprietà dell’Associazione. La stanza, occupata dall’Unicef, nel 2003 (anno della consegna) era da imbiancare e senza luce. E’ stata ripulita e imbiancata, sono stati installati neon e le spese sostenute sono state a totale carico della sottoscritta”.
Solidale intanto con le tre associazioni sfrattate il Capogruppo del pd Marco Piendibene, che ricorda  gli importanti risultati da esse conseguiti in questi anni “grazie alla dedizione di chi le dirige e di chi ne fa parte”. “Ebbene – afferma – per il Comune i locali in questione sono più adatti ‘…come ufficio per usi istituzionali nel quadro della riorganizzazione dei servizi e della razionalizzazione della spesa… Allora, se il motivo è solo legato alla logistica ed al risparmio, facciamo una proposta ai nostri amministratori: la ex sede del comitato di quartiere di San Liborio, ormai disciolto, che proprio il Consiglio Comunale decise di riacquisire e rendere disponibile per qualsiasi altra attività meritevole di una sede. Quei locali, di proprietà Ater, sono concessi al Comune che paga per l’affitto e per le spese varie per un ammontare di alcune centinaia di euro. Una discussione sulle mozioni portò, il 13 maggio 2010, a deliberare all’unanimità la revoca dell’uso del locale all’ex responsabile per rimetterla nelle disponibilità della pubblica amministrazione. Si tratta di locali di circa 100 mq e la razionalizzazione, per l’appunto sbandierata dal Comune, richiederebbe un utilizzo sociale in favore della città. Quale uso migliore – conclude Piendibene -se non quello di dare a queste meritevoli associazioni una nuova sede?”