FRANCESCO GUCCINI

Francesco Guccini nasce da Ferruccio, impiegato delle Poste, originario dell’Appennino pistoiese, ed Ester Prandi (nella foto), casalinga di Carpi, al n. 22 di via Domenico Cucchiari, a Modena, il 14 giugno 1940.

Dopo l’entrata dell’Italia nella seconda guerra mondiale, suo padre fu chiamato alle armi e questo evento costrinse il piccolo Francesco ad andare a vivere con la madre presso i nonni paterni, a Pàvana, sull’Appennino tosco-emiliano, luogo in cui tutt’ora risiede.

Guccini ricorda più volte nelle proprie opere gli anni dell’infanzia trascorsi sulle montagne dell’Appennino: proprio a Pàvana dedica il primo romanzo “Cròniche Epafàniche”. Molte delle sue canzoni attingono da questa ambientazione montanara della quale ha più volte dichiarato di andare molto fiero. Un forte senso di appartenenza ai luoghi di origine della sua famiglia, che descriverà nel brano Radici, ha segnato quindi la sua poetica, divenendo un tema ricorrente dei suoi scritti e dei suoi brani, come ad esempio in Amerigo, che narra la storia di povertà ed emarginazione di un prozio emigrante.

La fine della guerra riporta Guccini nei luoghi lasciati pochi mesi dopo la nascita. Nel 1945 torna a vivere con la madre a Modena, dove l’anno successivo il padre, ritornato dalla prigionia, riprese il suo impiego alle Poste.

 

IL DEBUTTO
Nel 1967 la casa discografica CGD gli propone di partecipare al Festival di Sanremo di quell’anno come autore della parte musicale del brano “Una storia d’amore”. Per interpretarlo vengono scelte due cantanti di questa casa discografica, Caterina Caselli e Gigliola Cinquetti, ma la canzone non supera le selezioni. Come dichiarò Roberto Vecchioni (che, in quel periodo, era uno degli autori della CGD), la casa discografica gli impose due parolieri professionisti, Daniele Pace e Mario Panzeri, per provare a modificare il testo della canzone, un’ingerenza che Guccini tollerò malvolentieri e che lo indusse a rinunciare a ulteriori collaborazioni. La canzone fu comunque incisa dalle due cantanti: da Gigliola Cinquetti nell’album “La rosa nera” e da Caterina Caselli in “Diamoci del tu”.

Il primo lavoro della sua carriera di cantautore – Folk beat n. 1 – arriva qualche mese dopo, nel marzo del 1967. Nel disco, che ebbe un riscontro commerciale molto scarso (praticamente nullo, come afferma lo stesso Guccini), si intravedono già dei tratti caratteristici del suo stile artistico, con canzoni dagli arrangiamenti scarni e dai temi dolorosi come morte, suicidio, infimità sociale, Olocausto e guerra (appare anche un originale esperimento di talkin’ blues “all’italiana”, stile che avrebbe poi ripreso in un successivo brano inserito in “Opera buffa”).

Tra le canzoni incise ci sono anche tre di quelle già portate al successo dai Nomadi e dall’Equipe 84, “Noi non ci saremo”, “L’antisociale” e Auschwitz; “Auschwitz” verrà poi tradotta in inglese e riproposta nel 1967 dall’Equipe 84 (come retro del 45 giri con 29th September, pubblicato solo in Gran Bretagna) e, molti anni dopo, dal cantautore statunitense Rod McDonald, nell’album “Man on the Ledge” del 1994.

Vi è inoltre un’altra canzone, “In morte di S.F.”, che viene ridepositata in seguito alla Siae con il titolo mutato in “Canzone per un’amica”, e con questo nuovo titolo sarà incisa nel 1968 dai Nomadi.

Caterina Caselli il 1 maggio 1967, poco dopo l’uscita del disco, lo invita al programma televisivo “Diamoci del tu”, presentato insieme a Giorgio Gaber: in quest’occasione, che rappresenta il suo debutto televisivo (nella foto a sinistra), canta Auschwitz. Nella stessa puntata, tra l’altro, fu ospite un altro giovane cantautore ancora sconosciuto, Franco Battiato.

Per la Caselli in quel periodo scrive molti brani, tra cui “Le biciclette bianche”, “Incubo N° 4”, canzone inserita nel musicarello “L’immensità” (La ragazza del Paip’s), “Una storia d’amore” e “Cima Vallona” (ispirata alla strage omonima).

Sono tuttavia i Nomadi (che già nel 1966 avevano inciso una sua canzone, “Noi non ci saremo”), a portare al successo nello stesso anno quella che diviene una delle canzoni più note di Guccini: “Dio è morto” (viene pubblicata in contemporanea anche da Caterina Caselli, con delle differenze nel testo).

Si tratta di un brano dal testo “generazionale” che per l’universalità del suo contenuto supera ogni confinamento ideologico venendo elogiata addirittura da Papa Paolo VI (fu trasmessa da Radio Vaticana, benché a suo tempo censurata dalla RAI per blasfemia).

L’anno successivo Guccini ritorna in sala di incisione, pubblicando un 45 giri con “Un altro giorno è andato” e “ Il bello”. La prima, una delle sue canzoni ritenute tra le più caratteristiche, viene incisa di nuovo in versione acustica e con alcune piccole modifiche nel testo nel 1970 e inserita in “L’isola non trovata”.

La seconda invece viene riproposta dal vivo in “Opera buffa”, dopo essere stata reinterpretata due anni dopo da Lando Buzzanca. Nel frattempo Guccini continua l’attività di autore, scrivendo brani per I Nomadi, Bobby Solo, Caterina Caselli e altri artisti.

Nel dicembre 1968 avviene il suo debutto ufficiale dal vivo, con un concerto tenuto al Centro Culturale la Cittadella della Pro Civitate Christiana di Assisi, un centro culturale cattolico di tendenza progressista.

Nel biennio 1967-1968 si distingue anche per il lavoro di pubblicitario nell’ambito del Carosello insieme a Guido De Maria, collaborando agli slogan dell’Amarena Fabbri imperniate sui personaggi “Salomone pirata pacioccone” e il suo aiutante “Manodifata”; dello stesso personaggio scrive anche il testo della canzone per bambini, cantata da Le Sorelle, e fece conoscere al grande pubblico, sempre grazie al Carosello, il vignettista Bonvi. Guccini ricorderà questo periodo nel testo di “Eskimo”.

Nel 1970 è la volta di “Due anni dopo” (registrato nell’autunno del 1969), album dai toni inquieti ed esistenziali, che lascia da parte le tematiche della protesta (eccetto per Primavera di Praga).

Viene accostato, per le tematiche e i vocaboli alla poetica leopardiana, mostrando un artista ancora giovanile ma già più maturo del precedente. Il centro narrativo del disco, dalla percepibile influenza francese, è il tempo che passa e la vita quotidiana analizzata nella dimensione dell’ipocrisia borghese.

Con questo album ha inizio una collaborazione, che durerà circa un decennio, con la folksinger di origini americane Deborah Kooperman la quale, pur non essendo una vera chitarrista, impreziosirà da quel momento parecchi suoi dischi con caratteristici arpeggi finger-picking, uno stile allora poco conosciuto e usato nel nostro Paese.

Subito dopo l’uscita di Due anni dopo, Guccini lascia in Italia, ma senza rinunciarci, la sua fidanzata Roberta Baccilieri (per la quale aveva scritto “Vedi cara”) e parte per gli USA insieme a Eloise Dunn, una ragazza conosciuta al Dickinson College di Bologna dove insegnava (alla quale anni dopo dedicherà la canzone “100 Pennsylvania Ave”).

Conclusa questa relazione, torna in Italia con la caratteristica barba, che da quel momento non taglierà più.

Si riconcilia con Roberta Baccilieri e con lei va in vacanza all’isola di Santorini: è in quest’occasione che viene scattata la celebre fotografia presente sul retro di “Stanze di vita quotidiana”, usata poi sia per la copertina di Via Paolo Fabbri 43 sia, ancora oggi, per i manifesti pubblicitari dei suoi concerti.

In autunno inizia le registrazioni di un nuovo disco, e così, a undici mesi da “Due anni dopo” viene pubblicato “L’isola non trovata”. Il titolo dell’album, che è anche quello di una canzone, è un riferimento a Guido Gozzano.

Un’altra citazione letteraria presente nel disco è quella di J.D. Salinger in “La collina”.

Altri brani di rilievo del disco sono “Un altro giorno è andato” (reincisa dopo due anni), “L’uomo” e “L’orizzonte di K.D.” (Karen Dunn, la sorella di Eloise).

La notorietà di Guccini inizia a diffondersi anche al di fuori di Bologna, passando dalle osterie al teatro: è di questo periodo la sua partecipazione al programma televisivo “Speciale tre milioni”, dove presenta alcune sue canzoni (tra cui “La tua libertà”, all’epoca inedita, incisa nel 1971, ma pubblicata soltanto nel 2004 come bonus track dell’album “Ritratti”), e dove diviene amico di Claudio Baglioni.

 

Nel 1971, dopo alcuni mesi di convivenza, sposa la sua storica fidanzata, Roberta Baccilieri (raffigurata sul retro di copertina dell’album successivo e alla quale dedicò la canzone Eskimo).

 

IL SUCCESSO

Il vero salto artistico e qualitativo avviene nel 1972 con “Radici”, che contiene alcune delle sue canzoni più conosciute: ”La locomotiva”, canzone tratta da una vicenda reale in cui Guccini affronta il tema dell’uguaglianza, della giustizia sociale e della libertà, ricalcando lo stile di autori di musica anarchica di fine ‘800.

Il filo conduttore dell’album, come suggerisce il titolo, è l’eterna ricerca delle proprie radici, simboleggiata anche dalla copertina del disco dove, sullo sfondo del cortile della vecchia casa di montagna, sono raffigurati sul fronte i nonni e i prozii di Guccini (tra cui anche Enrico, la cui vicenda verrà raccontata anni dopo in “Amerigo”).

La critica definì l’album contemplativo e onirico: canzoni come “Incontro”, “Piccola Città”, “Il vecchio e il bambino”, “La Canzone della bambina portoghese” e “Canzone dei dodici mesi” sono i brani di maggior rilievo di un lavoro che viene ritenuto tra le sue vette artistiche.

Nello stesso anno Guccini porta alla EMI Italiana un giovane cantautore suo concittadino di cui ha ascoltato alcune canzoni che l’hanno colpito: si tratta di Claudio Lolli, con cui in futuro collaborerà nella stesura di due canzoni (“Keaton” e “Ballando con una sconosciuta”), che deve proprio a Guccini l’inizio della sua attività artistica.

Nel 1973 c’è la volta di “Opera buffa”, disco registrato all’Osteria delle dame di Bologna e al Folkstudio di Roma, goliardico e spensierato, che mette in luce le sue qualità di cabarettista, ironico e teatrale, colto e canzonatorio.

L’idea di incidere canzoni dal vivo di questo genere in realtà non fu mai accettata di buon grado da Guccini, il quale ebbe perplessità sulla pubblicazione di questo disco e sul brano “I Fichi”, contenuto nell’album “D’amore di morte e di altre sciocchezze”.

Nonostante ciò il disco live (con sovraincisioni realizzate in studio) è una testimonianza indicativa del modo in cui Guccini ha sempre affrontato i concerti nel corso della sua carriera. Il suo tipico modo di fare cabaret si rinnova sempre nei suoi spettacoli, che diventano delle vere e proprie esibizioni teatrali in cui il protagonista dialoga e si confronta con il pubblico; questa sua vena è resa evidente in numerose canzoni, come “L’avvelenata”, “Addio”, “Cirano”, “Il sociale e l’antisociale”.

Segue l’anno successivo “Stanze di vita quotidiana”, un album controverso e di difficile ascolto, che riscontrò pareri contrastanti di pubblico e critica. Il disco, composto da sei lunghi brani malinconici e struggenti, rispecchia il periodo di crisi profonda che Guccini stava vivendo, aggravata dai continui dissidi con il produttore Pier Farri e riceve delle critiche impietose: si ricorda soprattutto una dura catilinaria del critico Riccardo Bertoncelli, che senza mezzi termini bollò il cantautore come “un artista finito, a cui non resta più nulla da dire”.

Guccini risponde a questa accusa qualche anno dopo, con “L’avvelenata”. Solo a distanza di molti anni verrà riconosciuto il valore artistico di questo disco. A testimonianza di ciò, il testo di “Canzone per Piero” viene inserito tra le fonti della prima prova dell’esame di Stato del 2004.

Il tema del saggio della prova d’esame era l’amicizia. Francesco Guccini, a tal proposito, si disse fiero di figurare in mezzo a Dante e Raffaello. Parlando del testo della canzone, si evidenzia come la sua fonte (conscia o inconscia) sia il dialogo di Plotino e Porfirio, contenuto nelle Operette morali di Giacomo Leopardi. Nel resto del disco lasciano il segno vocaboli leopardiani e temi della quotidianità.

Il successo commerciale di Guccini arriva nel 1976. È l’anno di “Via Paolo Fabbri 43”, album che sarebbe poi risultato tra i cinque più venduti dell’anno. La voce si fa più matura, decisa e sicura di sé e la struttura musicale dell’LP più complessa dei precedenti.

Come risposta alle critiche indirizzate a “Stanze di vita quotidiana”, soprattutto a quelle di Bertoncelli (citato nella canzone), scrive come detto “L’avvelenata”, un brano che evidenzia un Guccini rabbioso e deciso a rispondere “vivacemente” a chi lo aveva aspramente criticato.

In seguito Guccini mostrerà una certa ritrosia a eseguire questa canzone dal vivo, in parte perché troppo sponsorizzata dal pubblico e in parte perché a suo dire “datata” nei contenuti.

Altra canzone rappresentativa è quella che da il titolo al disco. “Via Paolo Fabbri 43” è un’astratta descrizione della vita di Guccini nella sua residenza di Bologna, con gli abituali riferimenti ad artisti a lui cari, come Borges e Barthes e una citazione delle “tre eroine della canzone italiana”, Alice, Marinella e la “piccola infelice Lilly”, una frecciatina amichevole rivolta a De Gregori, De André e Venditti; questa a detta sua, assieme a “L’avvelenata” e a “Il pensionato”, è una delle canzoni a cui è più legato.

Non mancano nel disco momenti di lirismo: “Canzone quasi d’amore” dalla poetica esistenziale è ritenuta da molti un esempio delle vette raggiungibili dal “Guccini poeta”. Il suo tratto da cantastorie sarebbe tornato anche ne “Il pensionato”, ballata che narra di un suo anziano vicino, ma che sarebbe sfociata tra i versi in un excursus sulla triste situazione psicologica di alcuni anziani.

L’album successivo, pubblicato due anni dopo, è Amerigo (1978), la cui canzone più famosa è certamente Eskimo. Tuttavia, Guccini stesso, intravide il momento più riuscito proprio nel brano che dà il titolo al disco: una ballata dedicata a uno zio emigrante a lui caro.

Il 6 ottobre 1977 la rivista settimanale Grand Hotel gli dedica una copertina dal titolo: “Il padre che tutti i giovanissimi avrebbero voluto avere”; in realtà l’iniziativa avviene a sua insaputa, come raccontò il vicedirettore del settimanale: “Guccini non sapeva della copertina. L’intervista è stata fatta da un collaboratore che non gli aveva detto che sarebbe finita sul nostro settimanale, ma non penso che per questo Guccini sia andato in bestia”.

Guccini non fu entusiasta dell’iniziativa, e dichiarò: “Non capisco come gli sia venuto in mente, quel titolo, io scrivo canzoni per un pubblico di trentenni, non capisco come un pubblico di sedicenni appena usciti dal liceo possa trovare delle affinità con le cose che dico”.

Sempre a questo proposito, si ricorda un episodio curioso: durante un concerto tenuto qualche giorno dopo la pubblicazione dell’articolo, alcuni spettatori delusi iniziarono a schernirlo per essere finito su una rivista femminile, ma Guccini non si scompose e ribatté: «Questo è niente, vedrete quando scriveranno “Liz Taylor grida a Guccini: rendimi il mio figlio segreto”!»

Nel frattempo, nello stesso anno, si separa dalla moglie Roberta (scrivendo sulla vicenda la canzone Eskimo) e inizia una convivenza con Angela, con cui, nel 1978, ebbe una bambina, Teresa (a cui anni dopo avrebbe dedicato le canzoni “Culodritto”, ed “E un giorno…”).

 

Guccini saluta gli anni settanta con “Album concerto”, registrato dal vivo con i Nomadi. La particolarità di questa raccolta è l’interpretazione a due voci con Augusto Daolio e la presenza nel disco di canzoni da lui scritte ma mai incise in precedenza: “Noi”, “Per fare un uomo” e soprattutto “Dio è morto”.

Il 1979 è anche l’anno della partecipazione di Guccini, il 14 giugno, a “1979 Il concerto – Omaggio a Demetrio Stratos”, per ricordare l’amico deceduto pochi giorni prima. Durante la manifestazione musicale Guccini canta “Per un amico”, che è in realtà “In morte di S.F.” dedicata a Stratos.

 

METROPOL
I, VIAGGI E RITRATTI

Guccini apre gli anni ottanta con “Metropolis”, album al quale, al pari di “Stanze di vita quotidiana”, ha affermato di essere meno legato.

Il filo conduttore della raccolta è la descrizione di alcune città dal preciso valore simbolico: Bisanzio, Venezia, Bologna e Milano.

Ormai da anni Guccini vive stabilmente a Pàvana (Pistoia) e solo saltuariamente si reca a Modena o Bologna dove, comunque, possiede casa.

La storia delle città e soprattutto il disagio della vita nella polis si intrecciano in un gioco di vicende storiche e di rimandi dal significato simbolico. Gli arrangiamenti si fanno più corposi, ormai distanti dagli stereotipi folk. Compaiono infatti incroci di sax e chitarra, basso e batteria, zufoli, clarinetti, flauti.

Torna il tema del viaggio o meglio ciò che egli definisce “l’impossibilità e l’inutilità di viaggiare”. Nel disco Guccini riprende una canzone dell’Assemblea musicale teatrale, scritta da Giampiero Alloisio e Bruno Biggi, “Venezia” (a cui apporta alcune piccole modifiche al testo). Spicca, fra i brani del disco, “Bisanzio”, complessa composizione definita da Jachia “commovente e sognante”.

Bisanzio è rappresentata da Guccini come un affascinante ma angosciante crocevia al limite tra due continenti e due ere, con toni talvolta apocalittici.

Il protagonista stesso, tale Filemazio (in cui molti scorgono lo stesso Guccini), percepisce la decadenza della sua civiltà, in un parallelo con quella occidentale, e l’avvicinarsi della fine. La canzone è ambientata all’epoca dell’imperatore Giustiniano I (483-565), con molti riferimenti storici a quel periodo, che Guccini stesso ha spiegato più volte; da citare inoltre per il brano l’ispirazione dall’opera Storia segreta di Procopio di Cesarea. Altri brani degni di nota nel disco sono la poetica “Venezia” e la ballata “Bologna”.

Nello stesso anno della pubblicazione di “Metropolis”, Guccini è autore, con Giorgio Gaber, Sandro Luporini e Gian Piero Alloisio, dello spettacolo “Gli ultimi viaggi di Gulliver”, messo in scena dallo stesso Alloisio con Ombretta Colli. Sempre nel 1981 scrive la canzone “Parole”, incisa da Alloisio nel suo album “Dovevo fare del cinema” (in cui è presente anche una canzone dello spettacolo, appunto “Gulliver”, che lo stesso Guccini inciderà nell’album Guccini).

Anche il successivo disco, “Guccini”, tratta le stesse tematiche del precedente, tra cui spicca il tema del viaggio e del disagio metropolitano rappresentati in “Gulliver” e in “Argentina”.

Un brano “classico” di Guccini divenne “Autogrill”, canzone che narra di un amore sfiorato. Ricercata e particolare risulta essere “Shomèr ma mi llailah?” (“Sentinella, quanto resta della notte ?”) tratta dalla Bibbia (Isaia 21, 11).

Altra traccia da ricordare è “Inutile”, che racconta la giornata passata a Rimini, in marzo, da due fidanzati. Il tour che seguì questo disco fu il primo in cui si esibì con un gruppo: fino ad allora, Guccini suonò da solo o accompagnato da uno o due chitarristi (all’inizio dalla Koopermann, poi da Biondini e infine da Villotti e Biondini).

Segue, nel 1984, l’album “Fra la via Emilia e il West”.

 

Molti dei suoi successi sono qui presentati dal vivo, principalmente da un concerto in piazza Maggiore a Bologna dove Guccini è accompagnato, oltre che dalla band, da ospiti illustri come Giorgio Gaber, Paolo Conte, I Nomadi, Roberto Vecchioni e l’Equipe 84, riformatasi per l’occasione.

Il 1987 è l’anno di “Signora Bovary”, un album la cui particolarità risiede nelle varie canzoni come ritratti di personaggi della vita di Guccini. “Van Loon” è suo padre, “Culodritto” è la giovane figlia Teresa (nata nel 1978), “Signora Bovary” è lui stesso.

La canzone “Keaton” è scritta dall’amico cantautore Claudio Lolli, con delle modifiche di Guccini, che la firma come coautore. Il disco segna un importante cambio di rotta, soprattutto per quel che riguarda la composizione musicale.

Si tratta di un lavoro raffinato, con melodie e arrangiamenti più complessi. Colpisce su tutte “Scirocco”, canzone, tra l’altro, che ha ricevuto vari riconoscimenti; racconta un episodio della vita di Adriano Spatola, detto Baudelaire (poeta amico di Guccini, che lo aveva già citato in Bologna), e della sua separazione da Giulia Niccolai.

Nel 1988 Guccini pubblica un disco di sue canzoni degli anni sessanta riarrangiate per l’occasione con l’aggiunta dell’inedito “Ti ricordi quei giorni”.

Nel titolo cita il romanzo “Vent’anni dopo”, chiamandolo “Quasi come Dumas”, che fu registrato dal vivo, nel 1988, al Palatrussardi di Milano, al Palasport di Pordenone e al Teatro dell’Istituto Culturale dell’Ambasciata d’Italia a Praga.

 

NEGAZIONI, AMORI E DUBBI

“Quello che non…” (1990) è un album all’insegna della continuità poetica con il precedente nel quale Guccini interpreta una raccolta di canzoni tra cui spiccano “Quello che non” e “La canzone delle domande consuete”, il cui valore poetico e letterario fu ulteriormente confermato dal premio di “miglior canzone dell’anno” dal Club Tenco.

Tre anni dopo (1993) è la volta di “Parnassius Guccinii” (dal nome dell’omonima farfalla dedicata al cantante emiliano) dove spicca “Samantha”, storia di un amore non realizzato a causa delle convenzioni sociali, e “Farewell”, ballata dal sapore dylaniano: in quest’ultimo brano vi è un omaggio e una citazione diretta della canzone “Farewell Angelina” di Bob Dylan, della quale viene riportato un verso (“The triangle tingles, and the trumpet play slow”) e l’introduzione strumentale iniziale.

Il titolo a sua volta ricorda la stessa ed è un riferimento alla sua compagna Angela, raccontando la fine del loro amore. Come afferma Jachia, “lo sforzo gigantesco, poetico e culturale, di Guccini è stato quello di aprire la più alta tradizione della poesia italiana alla ballata di derivazione dylaniana”.

Della raccolta facevano parte anche “Canzone per Silvia”, scritta per Silvia Baraldini, e “Acque”, seconda canzone su commissione di Guccini (dopo Nené del 1977), richiesta da Tiziano Sclavi e inserita nel film “Nero”.

Tre anni dopo (1996) è il turno di “D’amore di morte e di altre sciocchezze”, altro successo di vendite. Intensi e lirici sono i versi di “Lettera” dedicata a due amici scomparsi: Bonvi e Victor Sogliani.

Tra le canzoni di maggior successo del disco spicca “Cirano” (scritta da Giancarlo Bigazzi per la musica e da Beppe Dati per il testo, che viene comunque cofirmato da Guccini a causa di modifiche operate), liberamente ispirata alla nota opera teatrale, una canzone che lo stesso Guccini definisce di “serietà giullaresca”.

Tra le altre si ricordano la goliardica “I Fichi” (in realtà già presentata in televisione vent’anni prima, nella trasmissione “Onda libera” su Rai 2, condotta da Roberto Benigni); “Vorrei”, dedicata alla nuova compagna Raffaella Zuccari; “Quattro stracci”, che narra dell’amore finito per Angela, ma in maniera molto più dura rispetto a “Farewell” del disco precedente; “Stelle”, sul senso d’impotenza e di piccolezza dell’uomo di fronte alle meraviglie del cielo notturno.

Nel 1998 la sua casa discografica, la EMI Italiana, per celebrare il suo trentennale, pubblica una serie di dischi dal vivo dei suoi artisti più rappresentativi, fra cui “Guccini live collection”. Il cantautore diede il benestare alla pubblicazione ma non fu coinvolto nel progetto e si lamentò molto per un vistoso errore grammaticale sulla copertina.

 

PERSONAGGI E RACCONTI

Il cantautore inaugura il XXI secolo con “Stagioni”, album che ha come tematiche i diversi cicli temporali che attraversano lo scorrere degli anni.[

Tra i brani “Autunno”, “Ho ancora la forza” (scritta con Luciano Ligabue), “Don Chisciotte” (in cui Guccini duetta con il suo chitarrista Juan Carlos Flaco Biondini impersonando il celebre personaggio di Miguel Cervantes) e “Addio”, da molti definita una nuova “Avvelenata”, ma con echi di maturità e dell’universalità del messaggio.

Anche “Stagioni” e il rispettivo tour hanno un ottimo successo; in parte inattesa fu soprattutto la grande affluenza di un pubblico molto giovane, che consacra Guccini come un “artista di riferimento” di tre generazioni.

Si ricordano soprattutto le parole di Vincenzo Cerami che si diceva “stupito, quasi incredulo, e soprattutto felicissimo di vedere migliaia di ragazzini ai suoi concerti”. Il disco usce anche su vinile, in un’edizione speciale a tiratura limitata di 1000 pezzi.

Alcuni brani del disco successivo, “Ritratti” (2004), sono caratterizzati da dialoghi immaginari con personaggi storici come Ulisse, Cristoforo Colombo, Che Guevara; “Odysseus”, che apre il disco, ha un testo ritenuto da alcuni tra i migliori della sua carriera, con versi profondi che richiamano la sensazione del viaggio e numerose citazioni.

L’album prosegue, passando da “Una canzone”, fino a un brano dedicato a Carlo Giuliani, il ragazzo deceduto nel 2001 negli scontri del G8 di Genova. L’inedito inserito nel disco (“La tua Libertà”, 1971) rievoca le atmosfere de “L’isola non trovata”, mentre il brano “Vite”, ballata esistenziale tipicamente gucciniana, era da lui già stata composta per poi essere incisa da Adriano Celentano con alcuni tagli atti a ridurne la lunghezza.

“Ritratti” ha fatto rilevare, oltre all’apprezzamento della critica musicale, anche un buon successo di vendite: il CD nel giorno di lancio, balza subito per due settimane al primo posto della classifica FIMI, rimanendovi in totale diciotto settimane.

Nel 2005 esce il disco dal vivo “Anfiteatro Live”, registrato l’anno precedente nell’anfiteatro di Cagliari. Il doppio CD è accompagnato anche da un DVD che ripropone integralmente il medesimo concerto.

Le vendite furono ottime: il DVD restò nella classifica ufficiale FIMI per ventidue settimane, al primo posto per un mese.

Il 2006 è un anno dove si parla molto di Guccini, e non solo per la sua attività artistica: riceve infatti un voto in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica Italiana e viene pubblicata la raccolta celebrativa dei suoi 40 anni di carriera, rappresentata da 47 canzoni presenti nella sua “The Platinum Collection”.

Il 3 aprile dello stesso anno, Guccini, pubblica per la EMI France “Nella Giungla”, un brano singolo che tratta del rapimento di Ingrid Betancourt, traduzione di una canzone scritta da Renaud Sechan nel 2005, con musiche di Jan Pierre Bucolo.

Sempre nel 2006 presenta la Compagnia Teatrale Pavanese impegnata nella Aulularia di Plauto, da lui tradotta dal latino nel dialetto del suo paese.

Il 30 marzo 2007 riceve a Catanzaro il “Riccio d’Argento” della rassegna “Fatti di musica” diretta dal promoter musicale Ruggero Pegna, riservato ai più grandi autori italiani.

In ottobre esce invece in libreria la biografia ufficiale di Guccini, “Portavo allora un Eskimo innocente” di Massimo Cotto (Giunti Editore). Nel tour dello stesso anno Guccini presenta una nuova canzone sulla resistenza (“Su in collina”), che verrà presumibilmente inserita nel prossimo album, attualmente in lavorazione.

Parlando di questo disco futuro, Guccini, ha rivelato poi anche di aver già scritto una canzone dedicata a Pàvana (“Canzone di Notte n. 4”) oltre che “Il testamento di un pagliaccio” che narra del testamento di un Clown giunto alla sua fine, inserita in scaletta nel tour 2008-2009, ed eseguita per la prima volta in assoluto nella prima tappa del tour stesso il 20 giugno a Porretta Terme.

Con un articolo del 21 aprile 2008, sul giornale La Stampa si diceva che l’autore aveva smesso di fumare e aveva iniziato ad ingrassare a causa dell’astinenza, perdendo, inoltre, l’ispirazione. Guccini, tuttavia, ha smentito la notizia alla trasmissione “Che tempo che fa” condotta da Fabio Fazio il 18 maggio 2008.

In un’intervista del 20 gennaio 2010 Guccini ha sostenuto che il nuovo album è ancora in fase di lavorazione, aggiungendo che la data di pubblicazione non è assolutamente decisa ma che difficilmente sarebbe uscito nel corso dell’anno. Nella stessa occasione ha affermato che nel corso dei concerti non verranno più cantati inediti contenuti nel nuovo lavoro.

Nel marzo del 2010 la Mondadori pubblica “Non so che viso avesse”, un’autobiografia di Guccini che contiene, nella seconda parte del volume, un saggio critico curato dal professore Alberto Bertoni.

All’interno dell’album “Arrivederci, mostro!” di Luciano Ligabue è contenuto il brano “Caro il mio Francesco”, una dedica del cantautore di Correggio al suo collega, nonché amico, Francesco Guccini.