Ecco perché non sono più il Direttore dell’Ortica”

LADISPOLI – Cari amici lettori, mai avrei pensato di dover scrivere questa lettera aperta. Purtroppo, nella vita non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo gli stessi valori, taluni pensano di poter impunemente calpestare la professionalità dei giornalisti, ergendosi a dittatori di imprecisati, fantomatici e traballanti regni. Come i lettori più attenti avranno notato, nonostante il tentativo di qualcuno di nascondere la polvere sotto il tappeto, da alcuni giorni il sottoscritto non è più il direttore responsabile del settimanale L’Ortica del venerdì. Ebbene sì, dopo 22 anni complessivi, non per mia scelta, non sono più al timone dello storico periodico fondato da Filippo Di Lorenzo, editore puro e leale, che mai come in questo periodo stanno in tantissimi rimpiangendo. Una storia che si interrompe traumaticamente dopo quattro lustri, in pratica una vita professionale e per molti anni anche umana. Almeno dal 1997 alla seconda metà degli anni duemila, quando la scomparsa dell’editore causò la sospensione delle pubblicazione del settimanale. Tutto quello che è giunto dopo è stato soltanto lo strenuo tentativo di tenere in vita un ideale, un’azienda con dei valori, un modo di proporre informazione che purtroppo qualcuno ha dimostrato di non essere in grado di comprendere. Quando si considera un organo di informazione come il giocattolo proprio e dei propri familiari è palese che non si possa andare lontano. Eppure, vi giuro amici lettori che ci ho provato con tutte le mie forze. Ma andiamo con ordine, altrimenti non potete capire il senso di questa lettera aperta che ritengo doverosa dopo 22 anni alla direzione responsabile di quello che è stato per anni il più importante e diffuso organo di informazione gratuita dell’alto Lazio.
La triste storia iniziò alla fine del 2011 quando al sottoscritto fu proposto da una società editoriale, che aveva acquistato la testata Ortica del venerdì dagli eredi di Filippo Di Lorenzo, di rimanere alla direzione del giornale, rimettendo in moto tutti quei meccanismi che si erano rivelati vincenti per oltre un decennio. L’Ortica era infatti nata a giugno del 1997 su un muretto di via Settevene Palo a Ladispoli quando Di Lorenzo ed il sottoscritto decisero di plasmare un giornale locale con forte spirito nazional popolare, dando voce alle istanze, proteste, proposte ed idee della gente comune. Erano altri tempi, lontani anni luce dalla tecnologia odierna. Internet era agli albori, non esistevano i social, la posta elettronica era sperimentale, si usava il fax per inviare documenti. Addirittura, non esisteva l’euro, si adoperava la lira come moneta. L’Ortica del venerdì, col geniale slogan “punge ma non fa male”, fu un successo immediato, da mensile dovemmo trasformarla dopo poco tempo in settimanale, una cavalcata lunga dieci anni che permise all’epoca di creare un rapporto saldo, quasi fideistico, con i lettori del nostro territorio. Un appuntamento fisso con questo giornale gratuito che parlava la lingua della gente. Sono stati anni favolosi e professionalmente intensi. Purtroppo la vita pone trabocchetti, la scomparsa dell’editore fece calare il sipario sulla vera storia de L’Ortica. Con Filippo seppellimmo anche quei valori che ispirarono la nascita de L’Ortica.
Accettai 8 anni fa la proposta, forte era il tentativo di resuscitare un mass media col quale siamo cresciuti umanamente e professionalmente in molti. Non vidi, o finsi di non vedere, che in realtà sarebbe stata un’impresa al limite dell’impossibile con personaggi lontani anni luce dall’anima e dai valori con cui era stato cementato anni prima il progetto Ortica. Tralascio le problematiche economiche, non è questa la sede giusta, ci sarà tempo e modo di verificare tante situazioni nelle aule competenti.
Per 8 anni, insieme al vice direttore Felicia Caggianelli e alcuni giornalisti della redazione, abbiamo tentato di tenere il timone del giornale sulla rotta giusta, abbiamo dovuto combattere contro quell’integralismo di pensiero, peraltro risibile, di qualcuno che riteneva un giornale come la vetrina dove esplicitare solo i propri concetti, trasformandolo in un murales dove sfogare anche le proprie insoddisfazioni. Spesso era anche difficile non scoppiare a ridere quando taluni personaggi imponevano la linea ecologista ed animalista a L’Ortica, presentandosi poi in redazione con pellicce di visione vere, realizzate col massacro di molti animali. Alla faccia della coerenza. Ma essere radical chic è di moda…
Sarebbero tanti gli esempi da citare, i lettori sono saggi ed acuti, sovente hanno compreso come esistessero due anime all’interno di quello che una volta era un giornale omogeneo. Due anime profondamente diverse per origini, estrazione culturale e soprattutto senso della notizia. Perché, e lo scrivo con amarezza, tutta questa situazione è stata il frutto delle invasioni di campo, dei tentativi di prevaricazione professionale, dell’incompetenza giornalistica di chi non ha voluto capire una verità sacrosanta che è alla base di ogni organo di informazione. L’editore deve fare l’editore, occuparsi di tenere in vita l’azienda, decidere insieme al direttore responsabile la linea del giornale, laddove sia necessario prendere una posizione. Così come è stato per L’Ortica sotto la gestione della precedente società editoriale. Quando un editore, per 8 anni, pretende di fare i titoli di copertina, decidere la sequenza degli articoli, andare a chiedere il nulla osta a propri familiari, trasformare un mass media in una clava per imprecisati obiettivi, beh diventa complicato lavorare. Parlare con persone che di giornalismo non sanno molto, avendo passato la vita a stampare cartine, mappe e libri, credetemi amici lettori non è facile. Ma occorre essere onesti. Sì, lo ammetto, io ho commesso un errore in questi anni. Dovevo staccare la spina, rifiutarmi di mandare in stampa un prodotto giornalistico che della vecchia e vera Ortica ormai aveva soltanto il nome, lasciarli al proprio destino. Però il legame con questa testata era troppo forte, ho sempre tentato di individuare una mediazione, ma la situazione nel tempo è andata peggiorando senza soluzione di continuità. Addirittura, per ben due volte la redazione si è dovuta dissociare pubblicamente sui social da alcuni articoli imposti dall’editore che lo scorso 30 agosto raggiunse il culmine dell’arroganza. Fu infatti mandato in stampa un numero de L’Ortica, invece del programmato numero estivo e preconfezionato di giochi e rebus, senza il nulla osta del direttore responsabile che nemmeno era stato informato. E, udite udite, nella gerenza del giornale scomparvero sia il nome del direttore responsabile che del vice direttore, per fare posto all’editore che si era proclamato direttore responsabile pro tempore. Pur non essendo iscritto all’albo dei giornalisti come impone la normativa. E’ palese come qualcuno avesse perduto il senso della realtà, sfasciando del tutto ogni tentativo di dialogo che stavo tentando ancora di tenere in piedi. Davanti alla lapidaria frase “Il giornale è mio, comando e decido io, i giornalisti contano poco”, è calato il sipario. Ma alla don Abbondio, visto che qualcuno non ha avuto nemmeno il coraggio di rimuovere dall’incarico direttore e vice direttore guardandoli negli occhi. Meglio una laconica ed incomprensibile mail lo scorso 11 settembre. Casualmente, il giorno del tragico crollo delle torri gemelle di New York… Che altro aggiungere? Era giusto che i lettori sapessero la verità dopo 22 anni di splendido rapporto quotidiano, ognuno ora può formulare le proprie opinioni. Un fatto è però certo: la storia gloriosa di questo giornale non potrà cancellarla nemmeno una gestione opinabile, non è sufficiente aver comprato per un piatto di lenticchie un logo storico per esserne l’incarnazione dei valori e del modo di proporre informazione. Quei valori e quei concetti che non si possono acquistare come una saponetta al supermercato. Valori che porteremo avanti in altro modo, a breve diffonderemo la notizia.
Grazie a tutti voi amici lettori che dal 1997 al giorno dell’11 settembre de L’Ortica mi avete seguito con affetto, interesse e spesso anche consigli e idee contrastanti. Nella vecchia sede del giornale a Ladispoli c’era una scritta a caratteri cubitali fortemente voluta dalla redazione e dall’editore dell’epoca: L’allegria è l’unica cosa che non ci possono portare via”.
Grazie ancora ed a prestissimo.

Gianni Palmieri