“Cosa manca all’Agenda Monti”

CERVETERI – Dopo la grande delusione per il prevalere delle logiche conservatrici nella competizione alle primarie del centrosinistra (seppure falsate dalle note e odiose vicende delle regole), in molti hanno rivolto un appassionato appello a Matteo Renzi affinché rompesse l’inutile vincolo con il suo partito e tornasse ad impegnarsi direttamente per cambiare l’Italia, anche da solo. Purtroppo non è ancora seguita alcuna risposta e il suo “popolo”, un’area di elettori potenzialmente molto ampia che aveva trovato nel messaggio di Renzi una forma nuova di rappresentanza politica moderna, innovativa, riformista, sembra oggi un po’ spaesato. Una parte non indifferente di questa variegata realtà (al netto di quanti, già militanti di partito, hanno sfruttato l’onda mediatica di Renzi per tentare di dar vita all’ennesima correntina interna) sta comunque guardando con interesse all’Agenda Monti. Ponendo attenzione ai contenuti, infatti, non si possono ignorare i molteplici punti di contatto fra quell’agenda e il programma di Renzi.
Una continuità rafforzata dalla logica imposta dallo stesso Monti: cominciare dai contenuti e non dalle aggregazioni a suo sostegno. Monti, come di fatto anche Renzi prima di lui, intende scavalcare gli steccati ideologici e scomporre il quadro politico attuale, responsabile del declino etico, politico ed economico del nostro Paese, per posizionarsi su un terreno di rappresentanza del tutto nuovo, efficacemente sintetizzato nella definizione del confronto, non più tra destra, centro o sinistra, bensì tra conservatori e riformisti. Quanti ancora oggi restano fortemente legati all’esperienza di Matteo Renzi, sono indubbiamente annoverabili fra questi secondi, nonché profondamente preoccupati dell’incedere di logiche fondamentaliste, populiste e conservatrici.
Basta questo, dunque? Evidentemente no. O meglio, potrebbe bastare se ci si accontentasse di recuperare qualche “voto utile”. Ma non sembra invece sufficiente a ricreare quell’entusiasmo travolgente, capace di coinvolgere tutti i riformisti e di individuare una nuova forma di rappresentanza politica. Cosa manca allora? Da una prima sommaria analisi, sembrano emergere tre elementi di criticità, probabilmente tra loro interconnessi: la preponderanza della componente cattolica e moderata; alcune lacune (poche ma importanti) nell’Agenda Monti; la composizione delle liste per Monti.
Rispetto al primo tema, risulta evidente come la scena sia stata ormai occupata da realtà strettamente collegate al mondo cattolico-moderato. Basti pensare ai vari Casini, Riccardi, Bonanni, Olivero, o addirittura alle indiscrezioni sul coinvolgimento di CL, fino al più recente ed esplicito endorsement dell’Osservatore Romano. Questa connotazione, così evidente e marcata, rischia di rappresentare un problema, in quanto sta di fatto spostando l’attenzione dal confronto tra riformisti e conservatori al solito scontro ideologico fra destra, sinistra e moderati (cattolici) di centro. Manca in sostanza quella necessaria caratterizzazione liberale e riformista, che possa racchiudere in sé, superandole, culture politiche di origini diverse: liberali, moderate, progressiste, laiche, cattoliche. Senza questo sforzo, sia nei contenuti che nei metodi, si rappresenterebbe solo una parte, perdendo l’opportunità di andare, finalmente, oltre.
Si accennava ai contenuti. Il profilo fin qui descritto getta un’ombra anche su alcune lacune riscontrate nell’Agenda. Pur avendo ripreso moltissimi dei punti del programma di Matteo Renzi, risalta l’assenza di temi importanti come, ad esempio, la civil partnership. Un principio di diritto fortemente innovativo, certamente riformista, e certamente anche di respiro europeo. Il sospetto è che questo tema sia stato accantonato per considerazioni conservatrici e di opportunità politico-elettorale. Ma se così fosse, sarebbe un duro colpo alla credibilità del progetto.
La lista delle cose che mancano tuttavia potrebbe essere più lunga. Non a torto, diversi autorevoli osservatori hanno evidenziato come, in diversi passaggi, l’enunciazione di buoni principi non sia seguita anche da indicazioni chiare del “come” li si vorrebbe perseguire. In altri passaggi manca un po’ di coraggio, e in altri
ancora si riscontrano invece lacune più importanti, come, su tutte, una netta presa di posizione sull’abolizione del finanziamento pubblico dei partiti. Anche in questi casi sembra prevalere una logica conservatrice, che rischia di essere percepita come un volontà di preservare certi privilegi, sicuramente in contrasto con sensibilità civiche ben più diffuse.
Infine, ma non per ultimo, il tema della composizione delle liste. Nelle ultime ore sembra che sia stato deciso di presentare una lista per il Senato e più liste per la Camera. Una scelta evidentemente dettata da interessi di parte, che tuttavia rischia di creare confusione. È auspicabile quindi maggior coraggio e una pronta riconsiderazione della opportunità di ricondurre tutte le diverse anime coinvolte in questo percorso dentro un unico contenitore, il cui minimo comun denominatore resti la garanzia di serietà offerta dalla figura di Monti. Al contempo occorre scongiurare il rischio che questa lista finisca per rappresentare un paracadute per i soliti politicanti di mestiere. È quindi indispensabile valorizzare piuttosto la forte esigenza di rinnovamento, riservando ai politici di professione al massimo una piccola, piccolissima percentuale. Non è una questione formale di spazi o di pesi, ma di sostanza: se si vuole davvero smontare l’attuale composizione partitocratica, le sue logiche clientelari e consociative, e tutte quelle dinamiche che di fatto sono alla base delle degenerazioni della “casta”, non basta verificare che i candidati siano incensurati. Occorre avere il coraggio di pretendere che ogni forza politica che partecipi al progetto faccia proprio lo spirito fortemente innovativo di questo percorso e si impegni ad affiancare al contributo preponderante della società civile figure di grande e riconosciuto spessore professionale, umano, sociale.
Detto in parole povere, se scegliere l’Agenda Monti significa sostenere gli apparati di partiti come l’UDC o discutibili personaggi come Bonanni, diventa francamente difficile convincere che si tratti di un progetto innovativo e autenticamente riformista, in contrapposizione alle logiche partitocratiche, ai fondamentalismi, ai populismi e alle resistenze conservatrici, responsabili di questo declino.
C’è un vasto movimento civico e popolare, non schierato e non organizzato. Un movimento che è stato osteggiato, privato di una rappresentanza politica e poi emarginato. Questo “popolo”, che domani tornerà protagonista per riprendersi il futuro, oggi rischia di disperdere il suo consenso se l’Agenda Monti non saprà dimostrare maggior coerenza con i principi che intende rappresentare. C’è ancora tempo. Coraggio!

Juri Marini (funzionario pubblico)
Augusto Monachesi (imprenditore)
Alessio Monachesi (studente universitario)
Paola Micozzi (analista informatico)
Domenico Frontoni (dirigente in mobilità)
Matteo Mariani (pensionato)
Federico Schio (consulente informatico)
Roberto Mazzanti (commercialista)
Cristina Magnani (imprenditrice)
Paola Emma Mariano (studentessa universitaria)