“Cervelli in fuga”. Se riuscirò a dare un contributo alla scienza non accadrà in Italia

CIVITAVECCHIA – In un momento di istantaneo e spesso convinto rifiuto nei confronti del diverso, Sergio Marconi, un cervello civitavecchiese di 30 anni fuggito negli States, ci racconta una realtà completamente diversa dove la logica del melting pot rappresenta invece il principale punto di forza. La sua storia in questa nuova puntata dei “Cervelli in fuga”.

Dove ti trovi attualmente e da quanto tempo ti sei trasferito? E’ stato facile trovare un posto in cui risiedere?

“Sono atterrato ad Orlando il 3 agosto 2015. Un anno e mezzo fa, abbastanza da abituarmi a questa nuova vita, non altrettanto per scremare la percezione che sia solo un’avventura. Nel mio caso è stato relativamente semplice trovare alloggio. Gainesville (Florida) è una cittadina universitaria, di quelle dove nuovi appartamenti si schiudono ogni anno come gemme su un albero. Ti senti quasi corteggiato, come quando vai ad abbonarti ad una compagnia telefonica. Parimenti, fioccan le sòle”.

Sei partito da solo o con altre persone? Una volta arrivato è stato facile ambientarti? Come lo hai fatto?

“Valigione, moka, e passaporto. Sono partito per motivi di studio: è stata la mia fortuna. Sono arrivato in Florida con una borsa di studio internazionale, quindi ho da subito legato con studenti provenienti, letteralmente, da tutto il mondo. Creato il mio ‘core’, è stato più semplice legare ed ambientarsi con gli altri. Parlare italiano poi aiuta. Da un lato, qui la gente apprezza la nostra cultura, dall’altro, tendiamo irrimediabilmente ad attirare altri Italiani. Sarà l’odore di un buon sugo al basilico!”.

Attualmente di cosa ti occupi? Come ti sei avvicinato alla passione che ti ha portato dove sei ora e cosa rappresenta per te?

“Sono un dottorando in Ecologia interdisciplinare. Essenzialmente cerco di capire quali effetti avranno i cambiamenti climatici sulle interazioni tra piante; capire cosa, in diversi ecosistemi, guida la diversità di caratteri funzionali, e predire struttura ed effetti a diverse scale. Per farlo uso combinazioni di ‘Big Data’, modelli matematici e ‘Machine Learning’. Un ecologo atipico, insomma. Di quelli che fingono di saperne di statistica, informatica e matematica, ma vivono di caffè, pistacchi e un computer più potente. Mi sono avvicinato all’ecologia forse camminando tra le Alpi e gli Appennini. Mi sono innamorato delle garighe mediterranee, delle gravine calcaree. Ammetto tuttavia che scelsi di laurearmi in Scienze Forestali lanciando ai dadi. Il caso, molte volte, tira dolci scherzi. Questa passione rappresenta quasi tutto per me. Ho la fortuna di potermi dedicare ad una scienza tutt’altro che esatta, dove la fantasia, l’eleganza e la curiosità, si mischiano ad obiettivi pratici ed eticamente rilevanti. Mi piace pensare che sia il giusto compromesso tra l’egoistico desiderio di spogliare la Natura e un’altruistica necessità: darci un’alternativa, all’umano modo di sfregiarla”.

Come mai hai deciso di lasciare la tua città? Ogni quanto vi torni? Pensi che prima o poi tornerai definitivamente nella tua nazione?

“Ho adorato il mio percorso in Italia. Sono innamorato della mia cultura, Europea prima, Italiana poi. Forse ci stiamo imbarbarendo, incattiviti e depauperati dall’incapacità di gestirci, ma è pur vero che ‘dentro all’immondizia sta nascosta la magia’. In Italia, di magia, ce n’è davvero ancora tanta. Molte meno le opportunità, purtroppo. Viviamo in un’era dove le interconnessioni, i problemi, le responsabilità sono globali. L’Italia è un paese ancora troppo conservatore, specie quando si parla d’idee. O di tematiche, i cui risvolti pratici, sono proiettati nel tempo o peggio, toccano le corde della crociata ambientalista. Sono tornato per la prima volta sotto Natale e temo non tornerò prima del 2019. Tornare definitivamente è una possibilità, purtroppo, davvero lontana. Fa male a dirsi, ma se mai avrò la possibilità di contribuire (più o meno) significativamente alla Scienza, sarà verosimilmente altrove”.

Trovi che ci siano molte differenze tra la mentalità del posto in cui ti trovi ora e quella della tua città?

“Incredibilmente diverso; tanto da Civitavecchia, quanto dalle contee circostanti. Vivere in Florida è affascinante anche per questo: vivo in una comunità multiculturale ed estremamente progressista, incastonata nella porzione più sudista, ergo conservatrice, del Sunshine State. Dovendo sceglierne una, la differenza più marcata è la semplicità e serenità con cui ogni razza e nazione è amalgamata. Il sogno d’una società multietnica, tanto consapevole del valore della diversità, quanto unita da un obiettivo comune, è orribilmente fragile, quanto verosimile: fattibile. A discapito di ogni tensione annichilente proveniente dall’alto, o l’intorno”.

Qual è la posizione più alta che potresti ricoprire considerando il tuo ambito professionale? Credi che sarebbe ugualmente raggiungibile in Italia?

“Dipende dalla strada che deciderò e soprattutto riuscirò, a prendere. In Italia, per esempio, difficilmente potrei coprire il ruolo di Data Analyst, o lavorare per IBM, da ecologo. Potrei, probabilmente, ambire ai miei sbocchi più cari: ricerca in ambito accademico o in una qualche NGO. Riscontrando uguali efficienza e livello? Difficilmente. Rimarrebbero infatti i quesiti principali: quanto l’Italia crederà d’aver bisogno di persone come me, oltre la retorica. Anche volendo, poi, rispondere efficientemente a quesiti macroecologici è una sfida tanto interessante, quanto richiedente l’unione di forze con altri enti, paesi, risorse. Ripeto, viviamo in tempi stridenti, ma interessanti; dove la casa è nel cuore, ma le scarpe molto spesso altrove”.

A tuo parere gli Stati Uniti sono ancora in grado di offrire il “sogno americano”?

 “Per molti aspetti sì. In alcuni casi si è tentati di credere sia più illusione che sogno. Eppur lo si respira; chiacchierando, in giro per diversi stati, con individui d’ogni estrazione sociale. Si respira l’idea che la sfortuna è niente più che ruggine sullo specchio; sta a noi scioglierla con dosi massicce di fantasia e lavoro, o accettare il riflesso di un’immagine sgranata”.

Che progetti hai per il futuro?

“Progetti? Intanto vediamo se riesco a dare un contributo decente alla scienza. Poi si vedrà: alle brutte apro una pizzeria culturale!”.

Giordana Neri