“Cervelli in fuga”. Lavoro sottopagato e poche opportunità, ecco perché sono andato via dall’Italia

Da Civitavecchia al Texas, passando per Spagna, Svezia, Giappone e Austria. E’ la storia di Marco Mattei, civitavecchiese di 43 anni, che ormai da dieci anni vive e lavora con la sua famiglia lontano dal Belpaese. E’ lui stesso in questa nuova puntata di “Cervelli in fuga” a spiegarcene le ragioni.

Da quanto ti sei trasferito? Perché hai deciso di lasciare Civitavecchia e l’Italia?

“Mi sono trasferito negli Stati Uniti due anni fa ma negli ultimi dieci anni ho vissuto in Italia un anno solo. Inizialmente mi hanno spinto curiosità, voglia di fare esperienze nuove e conoscere altre culture e opportunità di crescita professionale. Col passare del tempo ho maturato la consapevolezza che esistono alternative all’Italia e che il fatto di essere nati e cresciuti in un paese non ci obbliga a viverci per sempre”.

Di cosa ti occupi attualmente?

“Mi occupo di vendite di infrastruttura e servizi nel settore delle comunicazioni mobili. Trovo affascinante essere parte di un’evoluzione tecnologica che negli ultimi anni ha avuto impatti così radicali sulle persone, sull’industria e sulla società”.

E’ stato facile ambientarti e come lo hai fatto?

“Ambientarsi non è mai facile, soprattutto quando ci si sposta con bambini. Negli ultimi anni mia moglie ed io abbiano vissuto questa esperienza diverse volte, trasferendoci in Spagna, Svezia, Giappone, Austria e Stati Uniti. Bisogna certamente cercare di essere curiosi e flessibili e non andare in cerca dell’Italia in paesi che non lo sono. Ogni posto in cui siamo stati ha i suoi lati positivi ed i suoi lati negativi. Il trucco è nel cercare di approfittare di quanto di buono questi posti hanno da offrire ed evitare di focalizzarsi su quello che invece non ci piace”.

Hai avuto problemi con la lingua?

“Sono sempre stato attratto da esperienze all’estero e già durante l’adolescenza ho avuto opportunità di fare vacanze studio all’estero. Grazie a queste esperienze non ho avuto problemi con la lingua”.

Quali differenze hai riscontrato tra il sistema lavorativo italiano e quello americano?

“La vera differenza a mio parere non è nel sistema di per se ma nelle opportunità. In America ci sono molte più opportunità ed il lavoro è valutato adeguatamente. In Italia, la scarsità di opportunità fa si che il lavoro venga sottovalutato e sottopagato. Non solo: trovare e mantenere un posto di lavoro diventa l’obiettivo principale, col risultato che, per quello che vedo, molti si ritrovano a fare un lavoro diverso da quello per cui sono qualificati e per il quale non hanno nessuna passione”.

Più in generale quali differenze ci sono tra società e mentalità degli USA e quelle dell’Italia?

“Un aspetto è il senso di rassegnazione che vedo in Italia mentre in USA c’è ancora un certo grado di ottimismo e la voglia di lottare per migliorare le cose e raggiungere obiettivi. Inoltre credo che la società in Italia abbia perso molto il senso di comunità che era così forte nella generazione dei nostri nonni e dei nostri genitori. In Texas, dove vivo attualmente, invece è ancora molto forte. C’è un termine che quando sono arrivato ho sentito ripetere tante volte e che mi ha colpito. “Give back”: significa contribuire alla comunità con donazioni e volontariato, per compensare quello che dalla comunità si riceve”.

Ogni quanto torni a casa? E che idea ti sei fatto di Civitavecchia, quando la rivedi a distanza di tempo?

“Sfortunatamente non mi capita di rientrare spesso perché è un viaggio molto lungo e pesante da affrontare con i bambini. Una o due volte l’anno approfitto però di viaggi di lavoro in Europa per passare qualche giorno in Italia ed, in particolare, a Civitavecchia. Onestamente l’idea che mi sono fatto è che le cose continuino a peggiorare ma che la gente si adatti a tutto. Un po’ la storia della rana nell’acqua messa a bollire che non salta mai. Soprattutto quando ritorno dopo molto tempo mi colpisce sempre vedere le bellezze naturali ed artistiche alle quali vivendo in Italia siamo abituati ma che sono davvero uniche e rendono l’Italia il paese più bello del mondo”.

I “cervelli” italiani sono davvero destinati a fuggire? Insomma l’Italia non è un paese per intelligenze come te?

“Non credo sia una questione di “cervelli” o di “intelligenze”. Credo sia più una questione di realizzare che, come dicevo prima, esistono alternative e di prendere il coraggio per superare paure ed ostacoli che, essendo ignoti, possono sembrare decisamente più grandi di quello che realmente sono”.

Hai in programma di tornare a lavorare in Italia prima o poi oppure la tua vita è ormai negli States o comunque lontano dal Belpaese?

“Non a breve termine. Mi piacerebbe prima o poi tornare e magari fare qualcosa di utile per il paese o la mia città. A volte mi domando se la scelta più coraggiosa sia quella di andarsene o quella di rimanere e cercare di cambiare le cose”.