“Questa non è modernizzazione ma restaurazione”

CIVITAVECCHIA -Una crisi che non investe solo la città umbra, ma che coinvolgerà in modo pesante l’economia di una importante porzione dell’intero paese, di cui ha condizionato in modo irreversibile le linee di sviluppo; lasciando ora, indisturbata, solo macerie sul territorio.
Un nome quello della Thyssen che evoca echi sinistri, legati ad una data: 6 dicembre 2007, o meglio la notte tra il 5 ed il 6 dicembre, quando la più famosa acciaieria del mondo arse vivi sette lavoratori, nel rogo provocato dall’incuria e dalla totale assenza di misure di sicurezza in cui gli operai erano costretti a lavorare.
La sentenza Thyssen ha costituito una pietra miliare nella giurisprudenza della Sicurezza sul Lavoro, introducendo per la prima volta il concetto di omicidio volontario, imprimendo inoltre un’accelerazione al varo del Decreto 81: il Testo Unico per la Sicurezza sul Lavoro che, pur con evidenti punti di criticità e qualche “alleggerimento” successivamente apportato dal decreto 106 del 2009 (specie sotto il profilo sanzionatorio), rappresenta comunque un importante punto di riferimento nella gestione del lavoro in sicurezza.
Un impianto legislativo che dunque esiste ed all’interno del quale vanno inquadrate le azioni di prevenzione e tutela delle condizioni di lavoro, ad un livello quantomeno da paese civile.
Ma non è così, perché gli incidenti si moltiplicano, ancora nelle cisterne assassine, nei cantieri, negli innumerevoli casi di lavoro “invisibile”, irregolare, non segnalato.
Nella quasi totalità dei casi riportati dalle cronache, le dinamiche degli incidenti, oltre a carenze di tipo strutturale ed all’assenza di dotazioni antinfortunistiche, denotano difetti di natura organizzativa: la strumentale tendenza ad attribuire la responsabilità alla “distrazione” dei lavoratori (la tragedia infinita dei morti nelle cisterne è un chiaro esempio), denuncia invece sistemi di lavoro caratterizzati, oltre che dall’obiettivo del massimo profitto ad ogni costo, dall’assenza di una corretta organizzazione del lavoro.
Una deregolamentazione che il jobs act si appresta ora ad “istituzionalizzare”, cancellando ogni garanzia frutto delle lotte del movimento operaio, dall’art. 18 allo Statuto dei Lavoratori nel suo complesso.
Perciò a poco serve, ed anzi offende la memoria dei caduti, la pietà di facciata che il capo dello stato non fa mancare ad ogni “omicidio” sul lavoro: perché di omicidio si parla quando donne ed uomini vengono costretti a lavorare in condizioni di precarietà, di assenza di tutela, di nuova schiavitù.
Non è un’opera di modernizzazione quella che il Governo Renzi sta imponendo al paese, ma una restaurazione vera e propria, che riporta il vivere democratico indietro di almeno cento anni, sotto il profilo sociale, politico e, certamente, economico, come tutti gli indicatori dimostrano.
Per questo il 25 ottobre saremo in piazza: per il lavoro, per la sicurezza, per il lavoro in sicurezza, per la dignità e il diitto a vivere in un paese in cui le garanzie democratiche e costituzionali non siano irrise, prima, eliminate, poi.
In difesa di quella democrazia per cui i nostri padri hanno combattuto la guerra di Liberazione, che le complicità ed i tentennamenti di un Partito Democratico di ormai indefinibile collocazione, stanno consegnando nelle mani del giullare di Berlusconi.

Lucia Bartolini