“Con Ranalli se ne va per sempre un altro pezzo di Sinistra”

Ho tanti e nitidi ricordi che mi legano a Giovanni Ranalli. Primo tra tutti la sua amicizia e le sue frequentazioni con papà, di cui aveva esposti a casa e nel suo studio alcuni dei suoi quadri a mio avviso più belli. Poi il senso quasi di riverenza quando mi affacciai diciottenne al partito e lui, “Il Senatore”, era figura autorevole e carismatica, apparentemente inavvicinabile per la fama e l’estrema considerazione di cui godeva. Ricordo anche l’imbarazzo, nei miei primi approcci, nel dargli del tu come era consuetudine tra compagni. Ma Giovanni, pur nel suo carisma e nella sua autorevolezza, era persona di incredibile semplicità e cortesia, se non proprio galanteria. Un uomo, un politico di altri tempi, che oltre all’intuito, alla capacità critica e al profondo attaccamento agli ideali di sinistra, faceva del garbo, del rispetto, della capacità di dialogo e di ascolto le sue ammirevoli e indiscutibili virtù. Concepiva l’esercizio della politica come assoluta dedizione al bene comune, a quella difesa dei più deboli che sentiva come strada maestra tracciata da quel Partito comunista cui aveva aderito con profonda convinzione.
Due fatti ancora oggi mi emozionano. Il primo nel 2002 quando, al Congresso cittadino dei Democratici di Sinistra, in nome di un presunto e scriteriato rinnovamento del partito, Giovanni fu estromesso da ogni organismo politico dei Ds a livello locale. In segno di protesta e solidarietà, tutti gli esponenti della Sinistra giovanile, di cui ero segretario, rifiutarono di entrare a far parte dei vari organismi dirigenti nei quali erano già stati appena eletti. Ricordo pochi giorni dopo una commovente lettera scrittami da Giovanni in cui manifestava la sua profonda gratitudine per il nostro gesto, che ieri come oggi, a distanza di anni, mi era sembrato quasi doveroso.
Il secondo pochi mesi dopo, quando venni eletto segretario cittadino dei Ds. Trovandosi in Sicilia e non avendo potuto partecipare al voto, l’indomani mi telefonò di buon mattino, come era sua abitudine, per rallegrarsi con me ed esprimermi tutto il suo sostegno. Mi è rimasto impresso il suo incredibile entusiasmo nel corso di quella telefonata, dove fui colpito da quell’eterna giovinezza che la sua passione politica sprigionava in ogni occasione. Ebbe parole cariche di stima nei miei confronti ma soprattutto di grande incoraggiamento. E così fu. Perché nel corso di quei tre anni difficilissimi da segretario, costantemente alle prese con divisioni e contrasti interni al partito complicatissimi da gestire, anche per la mia inesperienza e gli evidenti limiti che mostrai, Giovanni fu tra i pochissimi a sostenermi sempre e comunque, anche di fronte ai miei errori. E lo fece perché sempre convinto della mia buona fede, perché sempre rispettoso delle mie azioni anche quando non le condivideva, perché mai incline a insinuare soltanto il dubbio che alcune mie scelte potessero essere indotte da altri. Non era nel suo stile.
Ed è proprio questo, credo, che più di ogni altra virtù lo ha contraddistinto: uno stile di altra generazione. Di Giovanni non ricordo mai, in tutta la mia vita, una offesa, un tono alterato, una parola sopra le righe. Anche sforzandomi, non riesco a rintracciarne testimonianza. E mi sembra quasi impossibile nella politica strillata dei nostri giorni, in cui l’insulto e la denigrazione ci accompagnano ormai quotidianamente in ogni discussione.
Con Giovanni Ranalli se ne va un autentico Signore, come in politica purtroppo non se ne vedono più. Addio Compagno Giovanni, ho paura che un altro pezzo di Sinistra se ne sia andato per sempre.

Marco Galice