I Radiohead da Creep a The King of Limbs

I Radiohead sono stati sicuramente grandi protagonisti del rinnovamento del rock britannico a cavallo tra i Novanta e il Duemila, pochi come loro sono stati in grado di rappresentare il disagio esistenziale di fine millennio con le loro canzoni affollate di “perdenti/creep” e spazzatura spaziale, un passaggio lungo e sofferto dal post-punk fino ad arrivare alla fredda elettronica europea.
Ventisei anni di lavoro e otto album li hanno portati nell’Olimpo dei musicisti, per la loro musica forte, enigmatica, caotica e disperata e per la particolarità di evolversi, di cambiare registro; anche quando il successo era ormai alla loro portata hanno continuato a sperimentare.

I membri del gruppo si conobbero durante gli studi universitari, il loro primo nome fu “On a Friday” riferendosi al giorno libero in cui Thom e Company potevano provare i loro brani.
Il nome Radiohead viene dopo, su suggerimento dell’Emi Records, e si riferiva ad un brano dei Talking Heads, era il 1992 e l’album del debutto sarebbe uscito l’anno successivo “Pablo Honey”. Creep fu l’apripista al successo del gruppo, un inno per una generazione di perdenti ed emarginati avvolto in un’atmosfera decadente, accompagnata dai riff di chitarra e dal falsetto del cantante, fu un successo.
Il gruppo venne etichettato come i “nuovi U2” anche grazie alle atmosfere psichedeliche e le atmosfere struggenti del disco successivo “The Bends”.
La svolta e consacrazione è del 1997, in cui esce “Ok Computer” destinato ad essere annoverato tra i capolavori degli anni Novanta. E’ un album rock visionario e ancora più psichedelico, dove svettano brani melodici di grande impatto emotivo, pervaso da una malinconia di fondo e da una musica altamente suggestiva, c’è una fusione tra i generi, rock, pop ed elettronica, che colpisce subito al cuore l’ascoltatore.
In bilico tra la sperimentazione dei Pink Floyd e i primi Genesis i Radiohead coniano una formula suggestiva che li consacra nell’Olimpo del rock, le recensioni sono esaltanti.

Forti del successo del disco i Radiohead abbracciano quello che per molti poteva essere un “suicidio commerciale”, l’album successivo, uscito nel 2000, si chiamerà “Kid A”. Molti appassionati del gruppo che aspettavano un seguito musicale dell’album precedente si troveranno spiazzati, stessa cosa succederà anche in seguito con altri loro album.
La band non ha mai nascosto il fastidio nei confronti dell’industria discografica e anche “Kid A” assume toni fortemente anti-commerciali, in primis a partire dalla scelta di non estrarne dei singoli. I riferimenti principali sono al pop degli anni 80, ai Pink Floyd e a Bowie, il motore di tutto è il ritmo, ricreato in studio attraverso un uso maggiore di campionatori e vecchi sintetizzatori analogici. L’album nasce come un progetto discontinuo e coraggioso, intrigante quanto acerbo, che prosegue nella stessa direzione della sperimentazione digitale attraverso il successivo “Amnesiac” album già pronto all’uscita di “Kid A” ma commercializzato l’anno successivo, un album più accessibile rispetto al predecessore dove la differenza più marcata risulta nell’uso della voce, più marcata in “Amnesiac” e più distorta e filtrata, resa quasi indecifrabile in “Kid A”. Sperimentale ma capace di tener viva l’immediatezza dei primi lavori “Amnesiac” rappresenta la sintesi perfetta delle varie anime della band e l’album viene osannato dalle riviste specializzate di tutto il mondo.

L’elettronica melodica si presenta di nuovo nel 2003 con l’uscita di “Hail to Thief” che sembra voler mantenere un legame estetico con i loro ultimi lavori ma fanno comunque ritorno in gran forma e primeggiano gli strumenti del rock tradizionale.
La loro politica contro le multinazionali “esplode” nel 2007, è un colpo di scena per il panorama musicale, i Radiohead promuovono il loro nuovo disco con una formula nuova e trasgressiva, praticamente fanno decidere all’ascoltatore, attraverso il loro sito internet, quanto spendere per il disco, io ricordo ancora di “aver scelto” di comprarlo a 10 euro, tagliando quindi ogni contratto e forma di guadagno con le major.
“In Raimbows” è forse il disco meno immediato, complicato, sconsolato e ricco di suoni, attraverso una produzione molto curata, intrisa di chitarre rock e allontanando l’elettronica e relegandola a dettaglio secondario rispetto alla sostanza del suono che diventa sempre più emozionale e delicato.
Arriviamo all’ultimo album del 2011, quel “The King of Limbs” che ascoltato dopo tanto tempo di pausa dai Radiohead mi ha spiazzato, non è rock, ne elettronico, ne pop, è una via di mezzo di tutto, un lavoro misterioso e difficilmente inquadrabile nella loro storia. Il suono è ora quasi monolitico, si incrociano la freddezza di “Kid A” e i suoni di “Amnesiac”, una contrapposizione tra alcuni brani freddi, elettronici, frenetici nella prima parte del disco e una parte addolcita, calda e avvolgente a concludere il tutto, diverse faccie ma dello stesso album.
I Radiohead hanno saputo mostrare in tutti questi anni straordinarie qualità di modificarsi e maturare, sperimentare, cambiare non soffermandosi mai sui successi ma evolvendo rimanendo alla fine sempre gli stessi, come dei perfetti camaleonti, cambiando la pelle ma
lasciando sempre lo stesso spirito, la stessa grande qualità caratteristica della band.