Terrorismo: a chi stiamo chiedendo scusa?

Un altro attentato. Bruxelles dopo Parigi. Qui non si parlerà di numeri, ma di persone, perché non di numeri parliamo quando il cuore dell’Europa viene colpito duramente e tutti noi accusiamo il colpo. Non di numeri si parlerà perché quando lo accusiamo in maniera così forte non è per via della quantità o dell’appartenenza geografica delle vittime. Non è solo per la paura che i prossimi potremmo essere noi; d’altronde tra qualche giorno le nostre vite riprenderanno a scorrere come sempre, come hanno fatto quelle dei parigini e come faranno quelle dei belgi. Sentiamo la minaccia e la sentiamo ancor di più sapendo di essere piccoli e vulnerabili, sapendo che le nostre azioni singole non potrebbero sventare un attentato; e quindi riprendiamo i fili ed andiamo avanti. Questa consapevolezza ci rende frustrati però, ci fa cercare un colpevole, un capro espiatorio su cui scaricare le colpe di quello che deve o doveva essere fatto prima. La verità però è che l’idea di quelle vite spezzate la sentiamo e la sentiamo tutti allo stesso modo: arabi, cristiani, ebrei, atei, in America come in Russia, in Italia come nello Yemen, in Turchia come nel Mali. O forse no…
Sappiamo che nell’ultimo anno sono morte in Yemen circa 6.000 persone di cui la metà civili? Sì perché una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, un Paese in cui la sharia è legge di Stato, vi sta combattendo le milizie sciite houthi. Quindi gli arabi non sono tutti uguali e combattono fra di loro. Addirittura alcuni, più ricchi di noi, combattono con armi proprie il nostro stesso nemico, il terrorismo… lo sappiamo? Della Libia e del resto del Maghreb dopo le rivolte arabe che tanto trovammo poetiche invece? Sappiamo che in Turchia sono morte per attacchi terroristici negli ultimi due mesi 66 persone e che proprio in Turchia si sta riversando la maggior parte dei profughi che scappa dal Medio Oriente? Talmente tanti che l’Europa ha firmato l’altro giorno un accordo che prevede un rimpatrio in Turchia di ogni profugo sul suolo greco in cambio di un migrante siriano. Un accordo così simile ad un baratto di esseri umani che Medici senza frontiere e l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati oggi lo hanno disconosciuto. La Turchia però deve gestirli tutti questi migranti ed allo stesso tempo il terrorismo.
Lo sappiamo che la maggior parte delle richieste d’Asilo in Italia non vengono da arabi ma da africani? Nigeriani per la precisione. Della Nigeria che sappiamo? Delle centinaia di ragazze rapite da Boko Haram forse, delle 5 bambine fatte esplodere come kamikaze lo scorso ottobre probabilmente no. La più giovane aveva 9 anni, la maggiore 14. Come si finanzia Boko Haram? L’ISIS? Al Qaeda ancor prima? Gli abitanti di questi Paesi non hanno paura? Noi cosa faremmo? La verità è che scapperemmo, così come fanno loro.
Siamo stati colpiti, sentiamo la minaccia, il panico si diffonde rapidamente e qualcuno lucra su questo stato d’animo perché convogliare la frustrazione verso un nemico vicino, visibile, è il modo più semplice per distrarci dalla nostra impotenza come singoli. Ma chi avrebbe potuto fare qualcosa? Oh sì, questo lo sappiamo. Anni fa, decenni fa, addirittura qualche centinaia di anni fa chi aveva nelle sue mani il potere decisionale avrebbe potuto pianificare politiche migratorie migliori, politiche d’integrazione migliori, ancor prima politiche estere anche e forse soprattutto economiche meno aggressive, studi più dettagliati delle situazioni di alcuni Paesi in cui ci si accingeva ad agire.
Lo sappiamo tutti. Ancora però ci rivolgiamo al diverso, con aggressività, a chi somiglia a quegli attentatori che hanno colpito la Nostra Terra, l’Europa, con la minaccia che possa essere colpita la Nostra Patria, l’Italia. Come se non fossimo collegati, come se nella storia non ci fossimo mai incontrati, come se in qualche modo non avessimo contribuito a ciò che oggi altri stanno vivendo e noi abbiamo paura di vivere.
Per questo siamo pronti a commuoverci davanti a bambini sporchi di sangue, con i vestiti strappati, ma allo stesso tempo ci ergiamo a difensori della nostra cultura che, delineata da confini geografici ben definiti, non deve essere intaccata. Perché non importa di chi siano le colpe, noi non dobbiamo subire ciò che loro stanno subendo.
Forse è proprio questo infine a spaventarci: che i terroristi sono pochi; ma tutti gli altri, quelli sanguinanti e con i vestiti strappati, ci somigliano straordinariamente.

Giada Bono