Eutanasia. L’ergastolano internato in una prigione da quasi 30 anni non può morire

La richiesta era stata in un primo tempo accolta, tanto che la data della morte era stata fissata per l’11 gennaio nella prigione di Bruges. Oggi il Governo belga fa retromarcia e, sulla base di un parere medico, ha negato l’assistenza al suicidio assistito avanzata da un ergastolano sulla cinquantina, in carcere da 26 anni per una serie di condanne per stupro e omicidio. L’uomo sarà ora trasferito in un centro di Gand specializzato nel trattamento di persone affette da gravi turbe psichiche. Il detenuto, non in grado di resistere alle sue pulsioni e che si considera lui stesso un pericolo per la società, non desidera essere rimesso in libertà. Ritiene però disumane le condizioni della sua carcerazione. Aveva quindi in un primo tempo chiesto di essere spostato in Olanda e solo dopo la risposta negativa si era deciso a chiedere la morte. Il Belgio è stato più volte condannato dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo per le sue carenze nella presa a carico degli internati con gravi problemi psichici. La decisione con cui i giudici avevano di fatto sancito l’eutanasia, era stata duramente criticata per la preoccupazione che molte vite sarebbero state giudicate come non meritevoli di essere vissute. Per Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, “il procurare intenzionalmente e nel suo interesse la morte di un individuo è un altro modo di dare la morte. Ci sono momenti nella storia in cui alcune società sono talmente erose dall’interno che si ritrovano inerti davanti all’assurdità, alla violenza, al crimine. Queste società sono capaci di affermare che donare la morte anche se per compassione non è uccidere, o che la vita umana che è stata distrutta non era davvero vita, o che non era davvero umana. E’ lo stesso argomento usato da Hitler per uccidere gli handicappati ben prima della guerra”.