Un passato coloniale che non conviene

guerra somaliaLa penetrazione italiana in Somalia ha origini lontane; molto lontane. Se fino al 1884 infatti l’Inghilterra più di chiunque altro dominava le colonie in tutti i cinque continenti, dopo la conferenza di Berlino le altre potenze industrializzate si accordarono per il più grande saccheggio che la storia dell’umanità ricordi, a cui tutt’oggi e forse per sempre possiamo attribuire la maggior parte delle grandi differenze tra nord e sud mondiale. Ancora oggi  più di tre quarti della popolazione del pianeta è stata toccata dall’esperienza coloniale, la quale, anche se ciò non è sempre evidente a tutti, ne ha modellato ogni aspetto della vita.
L’Italia penetrò in Somalia inizialmente con l’acquisto della baia di Assab nel 1882 da parte della compagnia di navigazione genovese Rubattino, che aveva occupato la baia fin dal 1869. Per la conquista della prima colonia italiana in Africa bisognerà aspettare l’occupazione di Dogali, città eritrea, avvenuta il 26 gennaio 1887; la conquista della Somalia avvenne definitivamente nel 1908.
La Somalia è stata colonia italiana fino al 1941, quando le truppe inglesi la riconquistarono durante la seconda guerra mondiale. Alla fine della guerra però la “Somalia italiana” fu riconsegnata all’italia in amministrazione fiduciaria fino al 1950.
Ancora oggi la Somalia adotta l’italiano come veicolo culturale, la letteratura post coloniale somala, (molto più di quella eritrea o libica) è italiana come quella maghrebina è francese, molti intellettuali somali raccontano il rapporto tra quella terra ormai lontana e l’Italia con un vocabolario quasi “giasonico” l’Italia è la loro “America”.
Nella quattordicesima sessione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu di Ginevra, Freedom House ha presentato il rapporto sui peggiori violatori dei diritti umani del 2010 (in realtà dell’anno scorso).
Le società meno libere del mondo, a pari demerito, sono Myanmar, Guinea equatoriale, Eritrea, Libia, Corea del Nord, Somalia, Sudan, Turkmenistan e Uzbekistan e il territorio occupato del Tibet.
Il rapporto tra Italia e Libia è sempre stato ricco e controverso: nel 1986 Reagan bombardò la Libia (colpevole, per il presidente USA, di una politica troppo marcatamente filopalestinese), ma il Colonnello Gheddafi, avvertito per tempo dall’allora primo ministro italiano, il pluripregiudicato Bettino Craxi, riuscì a salvarsi (nel bombardamento la figlia adottiva del dittatore resterà uccisa); in seguito Gheddafi paragonerà quell’attacco agli attentati terroristici dello sceicco Osama Bin Laden. Ricordiamo giusto per dovere di cronaca i missili a Lampedusa.
Nel 1998 l’allora premier italiano, il pluritrasformista Lamberto Dini, firmò un documento che prevedeva esborsi dall’erario italiano in favore del governo libico a risarcimento post coloniale, documento mai inviato a ratifica parlamentare.
Il 28 Ottobre 2003 nel loro primo incontro “ammichevole”  il dittatore libico Mu’ammar Gheddafi e l’attuale premier italiano, il pluriindagato Silvio Berlusconi, stabilirono la necessità di un “grande gesto” di distensione post coloniale: un grande centro oncologico, del costo di 60 milioni di euro.
Il 30 agosto 2008 Gheddafi e Berlusconi si sono spinti oltre e hanno firmato un “trattato di Amicizia e Cooperazione”, nella città di Bengasi. In base al trattato di Bengasi, l’Italia pagherà 5 miliardi di dollari alla Libia come compensazione per l’occupazione militare. In cambio, la Libia prenderà misure (sappiamo quali) per combattere l’immigrazione clandestina dalle sue coste, e favorirà gli investimenti nelle aziende italiane (immaginiamo quali).
Giorni fa il dittatore libico Mu’ammar Gheddafi è tornato a far visita al nostro premier dando vita allo, ci sarà consentito, squallido teatrino puntualmente ripreso dalle televisioni di proprietà del premier e da quelle la cui linea editoriale è decisa dalla maggioranza parlamentare del premier con una puntualità quasi ossessiva.
Contestualmente giorni fa in Somalia è calato il buio, per l’ennesima volta: dopo due guerre con l’Etiopia, un colpo di stato militare, dieci anni di guerriglia, una secessione, la tristissimamente nota “battaglia di Mogadiscio”, un nuovo dilaniante conflitto tra 26 (!!) fazioni di signori della guerra, l’epurazione e lo scontro con le corti islamiche, la creazione di un enclave indipendente (Galmudug), svariate carestie, un nuovo colpo di stato … di fatto dopo la caduta del regime di Siad Barre, la Somalia è precipitata in una guerra civile permanente che in questi giorni ha ripreso tutta la sua veemenza: oltre 230 civili sono stati uccisi nelle ultime due settimane a Mogadiscio nei combattimenti tra truppe governative e insorti islamici shabaab. Inoltre almeno 400 civili sono rimasti feriti. Lo ha detto l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhacr) secondo il quale in seguito al riesplodere delle violenze si contano anche 23 mila profughi mentre nel corso dell’anno sono oltre 200 mila le persone che hanno dovuto abbandonare le loro case.
La Somalia e la Libia sono ex colonie italiane, entrambe tra i primi dieci paesi dove vigono dittature inumane; in Libia però c’è un unico dittatore, in Somalia ce ne sono stati molti e per poco tempo; in Libia c’è il petrolio, in Somalia si allevano molte pecore.