Non è il potere che corrompe, ma la paura di perdere il potere.

aung-san-suu-kyi“Non è il potere che corrompe, ma la paura: la paura di perdere il potere”.
Frase importante, che diventa particolarmente significativa nel momento in cui a dirla è Aung San Suu Kyi. Figlia del generale Aung San, uno dei principali esponenti politici birmani che, dopo aver negoziato l’indipendenza della nazione dal Regno Unito nel 1947, fu ucciso da alcuni avversari politici nello stesso anno; in seguito la madre, Khin Kyi, divenne una delle figure politiche di maggior rilievo in Birmania, tanto da diventare ambasciatrice in India nel 1960. Aung San Suu Kyi fu sempre presente al fianco della madre. Nel 1967, ad Oxford, conseguì la prestigiosa laurea in Filosofia, Scienze Politiche ed Economia. Continuò poi i suoi studi a New York e nel 1972 cominciò a lavorare per le Nazioni Unite. Ritornò in Birmania nel 1988; in quegli anni il generale Saw Maung prese il potere e instaurò il regime militare che tuttora comanda in Myanmar; influenzata dagli insegnamenti del Mahatma Gandhi, Aung San Suu Kyi sposò la causa del suo paese in maniera non-violenta e fondò la Lega Nazionale per la Democrazia, il 27 settembre 1988.
San Suu Kiy rifiutò la richiesta poco amichevole del regime Birmano di abbandonare il paese in seguito agli arresti domiciliari ricevuti, continuò la sua battaglia tanto forte da costringere il regime nel 1990 a chiamare il popolo alle elezioni: il risultato fu una schiacciante vittoria della Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi, che sarebbe quindi diventata Primo Ministro; tuttavia i militari rigettarono il voto, e presero il potere con la forza. L’anno successivo Aung San Suu Kyi vinse il premio Nobel per la Pace.
Gli arresti domiciliari le furono revocati nel 1995, ma rimaneva comunque in uno stato di semi libertà; non poté mai lasciare il paese, perché in tal caso le sarebbe stato negato il ritorno in Myanmar, e anche ai suoi familiari non fu mai permesso di visitarla, neanche quando al marito Michael fu diagnosticato un tumore, che di lì a due anni, nel 1999, lo avrebbe ucciso, lasciandola vedova.
Nel 2002, a seguito di forti pressioni delle Nazioni Unite, ad Aung San Suu Kyi fu riconosciuta una maggiore libertà d’azione in Myanmar, ma il 30 maggio 2003, il dramma: mentre era a bordo di un convoglio con numerosi supporters, un gruppo di militari aprì il fuoco e massacrò molte persone, e solo grazie alla prontezza di riflessi del suo autista Ko Kyaw Soe Lin, riuscì a salvarsi, ma fu di nuovo messa agli arresti domiciliari. Da quel momento, la salute di Aung San Suu Kyi è andata progressivamente peggiorando, tanto da richiedere un intervento e vari ricoveri.
Il “caso” Aung San Suu Kyi ha cominciato a divenire un argomento internazionale, tanto che gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea hanno fatto grosse pressioni sul governo del Myanmar per la sua liberazione; ma gli arresti domiciliari furono rinnovati per un anno nel 2005 e ulteriormente rinnovati nel 2006 e nel 2007. Tuttora Aung San Suu Kyi è agli arresti domiciliari.
Per il suo impegno a favore dei diritti umani il 6 maggio 2008 il Congresso degli Stati Uniti le ha conferito la sua massima onorificenza: la Medaglia d’Onore.
Il 3 maggio 2009 un mormone statunitense, John William Yethaw, ha raggiunto a nuoto la casa in cui è costretta agli arresti domiciliari attraversando il lago Inya. Il 14 maggio la giunta militare ha arrestato, e il 18 successivo ha processato, Aung San Suu Kyi per violazione degli arresti domiciliari.
Il giorno 11 giugno, Aung San Kyi è stata nuovamente condannata, questa volta a tre anni di lavori forzati per violazione della normativa della sicurezza che sono stati commutati poi, dalla Giunta militare, in 18 mesi di arresti domiciliari.
Oggi fonti ufficiali birmane hanno affermato all’agenzia France Presse
che libereranno Aung San Suu Kyi forse dopo le elezioni, precisando che il Ministero di giustizia non ha indicato nessuna data precisa. Due responsabili birmani, coperti da anonimato, hanno detto recentemente che il premio Nobel per la Pace sarà liberata il 13 novembre, quando scadranno i termini della sua detenzione. La “Dama” di Rangun ha trascorso oltre 15 degli ultimi 21 anni in stato di detenzione e non è stata mai liberata dal 2003.
Dopo l’episodio del mormone si è detto che la partita era ormai chiusa: il regime militare aveva avuto la scusa per mettere fuori gioco Aung San Suu Kyi in tempo per far approvare un testo di ratifica costuituzionale e poi tornare al voto senza la Lega Democratica.
Ma San Suu Kyi è ancora viva, e il 13 Novembre, ci auguriamo, tornerà in libertà: la partita non è chiusa, né per lei e quindi neanche per il popolo birmano.