Grandissimo successo per la fantastica mostra di pittura di Gaetano Vari a Manziana

Presentata dalla Galleria d’Arte “Il Mascherino” di Manziana dal 17 al 30 dicembre, la personale “Onirico” di Gaetano Vari, ha visto un enorme afflusso continuo e ininterrotto di pubblico e di personaggi di fama internazionale.
Imperdibili le opere esposte.
Pubblichiamo due delle critiche riguardo la mostra
“Simone Battiato, critico d’arte”
Confesso che ho aspettato … Dal mio primo incontro con le opere di Vari ho atteso nei giorni successivi che queste ultime si rivelassero come epifanie, per partenogenesi, svelandomi la loro intima ragione ontologica.
Sono partito “brucando la superficie pittorica” delle tele, come suggeriva Paul Klee, per attraversare gli spazi interstiziali dei sogni e perdermi nel fascino magnetico del colore.
L’ho fatto “portando negli occhi”, per giorni, l’immagine di una piccola finestra di casa Vari che affaccia sui dolci profili delle colline sotto Manziana, visti all’ora del crepuscolo, quando un delicato involucro luminoso avvolge l’ambiente circostante. Vicino la finestra, una tavolozza d’antica memoria piena di colori, puri e a volte mescolati, che di quest’immagine conservano l’impressione come suggestione visiva non di natura mimetica.
Le radici del lavoro di Vari attraversano tutta la cultura artistica del secolo scorso, il nostro caro e rimpianto Novecento, che l’artista conosce in profondità e con la quale il confronto è costante, fin’anche per la scoperta di nuovi orizzonti ancora da indagare.
E’ evidente lo studio attento e la riflessione sulla struttura compositiva dell’immagine, dove spesso il campo visivo viene saturato da un colore che non lascia spazio a trasparenze, il cui segno è figlio non della violenza del gesto ma dell’analisi e della ricerca introspettiva.
Questa ricerca ha portato Vari negli ultimi anni a indagare “spazi altri”: dalle vette inseguite vanamente da Icaro, allo spazio del sogno, che insieme ai “giardini dell’arte” è luogo di evasione dove tutto è concesso, scrigno di libertà di cui solo l’artista conserva le chiavi.
In alcune opere la superficie pittorica si divide in due campi rettangolari diventando terreno di conflittualità tra universi paralleli, come nel lavoro di forte spessore intitolato La condizione umana (2011) che ricorda per suggestione grafica e rimandi narrativi l’Ensor della Caduta degli angeli ribelli (1889).
Le icone di Vari, che delle tavole orientali conservano un affine, intrinseco splendore e il sacro mistero, sono universi in fieri che manifestano da parte dell’artista una salda linea concettuale e un’ormai matura, consolidata “coscienza formale”.
Quest’ultima espressione compare all’interno del manifesto del Fronte Nuovo delle Arti, formazione nata nell’immediato dopoguerra sotto l’ala critica di Giuseppe Marchiori con «l’esigenza di esprimere la realtà attraverso il rinnovamento del linguaggio» senza mai dimenticare «l’uomo». Gli artisti guardavano al Picasso dei secondi anni Trenta, quello del post-Guernica e alla Nouvelle École de Paris, che coniugava le istanze cubiste con la lezione di inizi Novecento dei Fauves.
Mi sembra che il lavoro di Vari, più che della lezione surrealista sia debitore nei confronti di quest’alveo culturale; lo alimenta però un’urgenza intima e personale, che lo avvicina al Renato Birolli di Incendio di notte nelle Cinque Terre (1955), dove la pasta pittorica crea forme mai astratte o distanti da quelle del reale.
La tessitura cromatica dei quadri di Vari sembra confrontarsi e riflettere anche sulla semantica del colore di kandinskijana memoria, vicina in particolare per suggestioni sinestetiche.
Vari dà forma alle esperienze del vissuto, scegliendo il viaggio onirico come esperienza per giungere alla comprensione delle radici dell’essere. La condivide con un altro grande “sognatore”, Gaston Bachelard.
Guardando i suoi lavori mi tornano in mente le parole dell’epistemologo francese, quelle della sua Poetica della rêverie (1960), che ci invitano a seguirlo, come i quadri di Vari, nelle sue fantastiche migrazioni: «Sì, prima della cultura il mondo ha sognato molto. I miti uscivano dalla terra, aprivano la terra perché con l’occhio dei suoi laghi guardasse il cielo. Un destino di altezza saliva dagli abissi. I miti trovavano così immediatamente delle voci d’uomo, la voce dell’uomo sognante il mondo dei suoi sogni.  L’uomo esprimeva la terra, il cielo, le acque. L’uomo era la parola di questo macroantropo che è il corpo mostruoso della terra. Nelle rêveries cosmiche primitive, il mondo è corpo umano, sguardo umano, soffio umano, voce umana. Ma questi tempi del mondo parlante possono rinascere?».
“Daniele Catini, critico d’arte”
“ONIRICO” scuote e supera una radicata stagione di incomunicabilità fra i messaggi di arte contemporanea ancora fragili in Italia dopo oltre cent’anni ed il grande patrimonio di un superbo passato classico che pervade le sensibilità e cattura gli occhi di chi alla pittura si rivolge con l’anima. La pittura, appunto, che alcuni ritengono superata, anzi morta, nella confusione di un periodo in cui improvvisazioni artistiche temporanee, allestimenti che vivono un giorno mostrano a volte il labile confine col nulla.
Nel quadro di una contemporaneità di incerta metabolizzazione, è tutto contenuto proprio nella antica e nobile arte della tela e del pennello il messaggio prorompente di Gaetano Vari, che materializza le proprie esplosioni espressive autenticamente odierne in una tessitura organica di forte spessore culturale, pregna di un’eredità – celata e pur patente – che vola da Giotto al Rinascimento, dal Barocco a Cézanne, fino a tutte le vicende del Novecento.
Bagaglio ricco di esperienze assieme a originalità e immediatezza di linguaggio creativo costituiscono il portato, l’essenza della sua pittura, sono le fonti preponderanti di una personale, sapiente comunicazione emotivamente cromo-verbale.
L’estro artistico si dipana così in una fioritura coloristica che violentemente si sposa  con la curiosa urgenza di chi guarda e di chi ascolta il vibrare esplosivo sulla tela, come si palesa in tante opere, ad esempio nel Ritorno dei Sogni, Memorie … San Giorgio, Marco, Icaro, Metamorfosi, temi ripresi anche più volte, in cui la trama di calore si sprigiona in puzzle di idee cromatico-luminose che suggeriscono il mondo pittorico di Gaetano Vari.
Il piano pittorico diventa per l’artista il campo in cui si contengono colori e forze apparentemente contrastanti, coinvolti in un insediamento luminoso che direziona l’equilibrio armonico del linguaggio astratto della sua pittura.
Il campo visivo diventa esternazione di una rievocazione intellettuale diluita da schemi formali e contenutistici; costante rimane nel suo scenario artistico l’apoteosi del colore come emblema significante del suo messaggio artistico.
Una pittura, la sua, in cui l’astrattismo è funzione principale ed essenziale dell’odierna comunicazione e predisposizione intellettuale al contenuto: un fare arte verso un’anima contemporanea in viaggio nella contemporaneità ed insieme una pittura ricca di colte reminiscenze ancestrali, memorie insostituibili nel progredire dell’arte.
Presentata dalla Galleria d’Arte “Il Mascherino” di Manziana dal 17 al 30 dicembre, la personale “Onirico” di Gaetano Vari, ha visto un enorme afflusso continuo e ininterrotto di pubblico e di personaggi di fama internazionale.
Imperdibili le opere esposte.
Pubblichiamo due delle critiche riguardo la mostra
“Simone Battiato, critico d’arte”
Confesso che ho aspettato … Dal mio primo incontro con le opere di Vari ho atteso nei giorni successivi che queste ultime si rivelassero come epifanie, per partenogenesi, svelandomi la loro intima ragione ontologica.
Sono partito “brucando la superficie pittorica” delle tele, come suggeriva Paul Klee, per attraversare gli spazi interstiziali dei sogni e perdermi nel fascino magnetico del colore.
L’ho fatto “portando negli occhi”, per giorni, l’immagine di una piccola finestra di casa Vari che affaccia sui dolci profili delle colline sotto Manziana, visti all’ora del crepuscolo, quando un delicato involucro luminoso avvolge l’ambiente circostante. Vicino la finestra, una tavolozza d’antica memoria piena di colori, puri e a volte mescolati, che di quest’immagine conservano l’impressione come suggestione visiva non di natura mimetica.
Le radici del lavoro di Vari attraversano tutta la cultura artistica del secolo scorso, il nostro caro e rimpianto Novecento, che l’artista conosce in profondità e con la quale il confronto è costante, fin’anche per la scoperta di nuovi orizzonti ancora da indagare.
E’ evidente lo studio attento e la riflessione sulla struttura compositiva dell’immagine, dove spesso il campo visivo viene saturato da un colore che non lascia spazio a trasparenze, il cui segno è figlio non della violenza del gesto ma dell’analisi e della ricerca introspettiva.
Questa ricerca ha portato Vari negli ultimi anni a indagare “spazi altri”: dalle vette inseguite vanamente da Icaro, allo spazio del sogno, che insieme ai “giardini dell’arte” è luogo di evasione dove tutto è concesso, scrigno di libertà di cui solo l’artista conserva le chiavi.
In alcune opere la superficie pittorica si divide in due campi rettangolari diventando terreno di conflittualità tra universi paralleli, come nel lavoro di forte spessore intitolato La condizione umana (2011) che ricorda per suggestione grafica e rimandi narrativi l’Ensor della Caduta degli angeli ribelli (1889).
Le icone di Vari, che delle tavole orientali conservano un affine, intrinseco splendore e il sacro mistero, sono universi in fieri che manifestano da parte dell’artista una salda linea concettuale e un’ormai matura, consolidata “coscienza formale”.
Quest’ultima espressione compare all’interno del manifesto del Fronte Nuovo delle Arti, formazione nata nell’immediato dopoguerra sotto l’ala critica di Giuseppe Marchiori con «l’esigenza di esprimere la realtà attraverso il rinnovamento del linguaggio» senza mai dimenticare «l’uomo». Gli artisti guardavano al Picasso dei secondi anni Trenta, quello del post-Guernica e alla Nouvelle École de Paris, che coniugava le istanze cubiste con la lezione di inizi Novecento dei Fauves.
Mi sembra che il lavoro di Vari, più che della lezione surrealista sia debitore nei confronti di quest’alveo culturale; lo alimenta però un’urgenza intima e personale, che lo avvicina al Renato Birolli di Incendio di notte nelle Cinque Terre (1955), dove la pasta pittorica crea forme mai astratte o distanti da quelle del reale.
La tessitura cromatica dei quadri di Vari sembra confrontarsi e riflettere anche sulla semantica del colore di kandinskijana memoria, vicina in particolare per suggestioni sinestetiche.
Vari dà forma alle esperienze del vissuto, scegliendo il viaggio onirico come esperienza per giungere alla comprensione delle radici dell’essere. La condivide con un altro grande “sognatore”, Gaston Bachelard.
Guardando i suoi lavori mi tornano in mente le parole dell’epistemologo francese, quelle della sua Poetica della rêverie (1960), che ci invitano a seguirlo, come i quadri di Vari, nelle sue fantastiche migrazioni: «Sì, prima della cultura il mondo ha sognato molto. I miti uscivano dalla terra, aprivano la terra perché con l’occhio dei suoi laghi guardasse il cielo. Un destino di altezza saliva dagli abissi. I miti trovavano così immediatamente delle voci d’uomo, la voce dell’uomo sognante il mondo dei suoi sogni.  L’uomo esprimeva la terra, il cielo, le acque. L’uomo era la parola di questo macroantropo che è il corpo mostruoso della terra. Nelle rêveries cosmiche primitive, il mondo è corpo umano, sguardo umano, soffio umano, voce umana. Ma questi tempi del mondo parlante possono rinascere?».
“Daniele Catini, critico d’arte”
“ONIRICO” scuote e supera una radicata stagione di incomunicabilità fra i messaggi di arte contemporanea ancora fragili in Italia dopo oltre cent’anni ed il grande patrimonio di un superbo passato classico che pervade le sensibilità e cattura gli occhi di chi alla pittura si rivolge con l’anima. La pittura, appunto, che alcuni ritengono superata, anzi morta, nella confusione di un periodo in cui improvvisazioni artistiche temporanee, allestimenti che vivono un giorno mostrano a volte il labile confine col nulla.
Nel quadro di una contemporaneità di incerta metabolizzazione, è tutto contenuto proprio nella antica e nobile arte della tela e del pennello il messaggio prorompente di Gaetano Vari, che materializza le proprie esplosioni espressive autenticamente odierne in una tessitura organica di forte spessore culturale, pregna di un’eredità – celata e pur patente – che vola da Giotto al Rinascimento, dal Barocco a Cézanne, fino a tutte le vicende del Novecento.
Bagaglio ricco di esperienze assieme a originalità e immediatezza di linguaggio creativo costituiscono il portato, l’essenza della sua pittura, sono le fonti preponderanti di una personale, sapiente comunicazione emotivamente cromo-verbale.
L’estro artistico si dipana così in una fioritura coloristica che violentemente si sposa  con la curiosa urgenza di chi guarda e di chi ascolta il vibrare esplosivo sulla tela, come si palesa in tante opere, ad esempio nel Ritorno dei Sogni, Memorie … San Giorgio, Marco, Icaro, Metamorfosi, temi ripresi anche più volte, in cui la trama di calore si sprigiona in puzzle di idee cromatico-luminose che suggeriscono il mondo pittorico di Gaetano Vari.
Il piano pittorico diventa per l’artista il campo in cui si contengono colori e forze apparentemente contrastanti, coinvolti in un insediamento luminoso che direziona l’equilibrio armonico del linguaggio astratto della sua pittura.
Il campo visivo diventa esternazione di una rievocazione intellettuale diluita da schemi formali e contenutistici; costante rimane nel suo scenario artistico l’apoteosi del colore come emblema significante del suo messaggio artistico.
Una pittura, la sua, in cui l’astrattismo è funzione principale ed essenziale dell’odierna comunicazione e predisposizione intellettuale al contenuto: un fare arte verso un’anima contemporanea in viaggio nella contemporaneità ed insieme una pittura ricca di colte reminiscenze ancestrali, memorie insostituibili nel progredire dell’arte.
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